Se io personalmente ho accolto il progetto Cinema Autism Friendly con entusiasmo e curiosità, afferrandolo come l’unica possibilità di andare al cinema con nostro figlio Giuliano – autistico e particolarmente vulnerabile agli stimoli sensoriali – molti lo hanno criticato aspramente ed accusato di essere discriminante, ghettizzante ed opposto all’essere inclusivo.

Reduce dalla nostra bellissima esperienza al cinema (che puoi trovare nella prima parte dell’articolo) ho voluto approfondire le polemiche sollevate sui social, per lo più dagli stessi genitori di ragazzi autistici.

in primo piano una parte di viso di un bambino e sullo sfondo quello sfocato di sua madre

Le critiche

<<Non è una soluzione per tutti!>>
Molti lamentano il fatto che la sala dove avviene la proiezione del film – nonostante le luci accese, il volume basso, la possibilità di alzarsi, di parlare e di portarsi il cibo da casa – non sia comunque adatta ad accogliere tutti i ragazzi autistici o con problematiche sensoriali.

Se da un lato, infatti, per alcuni ragazzi uno schermo che proietta immagini così grandi – come quello di un cinema – può costituire una difficoltà, dall’altro lato c’è chi ha bisogno che le luci siano del tutto accese, mentre altri ancora hanno sollevato la necessità di un ascolto in cuffia dell’audio di modo da isolarsi del tutto dai rumori esterni, o di sale molto più piccole per ridurre la presenza di numerose persone.
Una proposta non adatta ad accogliere tutti, quindi, additata come una soluzione inaccettabile e solo apparentemente capace di accogliere ragazzi con problemi sensoriali.

<<È discriminante>>
Numerosi, inoltre, coloro che hanno percepito questa possibilità come mera occasione di discriminazione, emarginazione e ghettizzazione.
La stessa presenza di una sala dedicata per questi ragazzi è stata letta come un fatto discriminante in sé, dal momento che opera una distinzione e una differenziazione tra le diverse condizioni delle persone, quasi ghettizzate nell’essere relegate in un luogo diverso rispetto alla comune utenza.

<<Non è inclusiva>>
Ne consegue che, secondo alcuni, un progetto simile costituisce un chiaro ostacolo all’inclusione, per due motivi.
Da un lato viene approfondita ed evidenziata la diversità tra le persone, mentre è necessario inserire tutti nello stesso contesto partendo dall’unico comun denominatore degno di evidenza, e cioè che ogni individuo è uguale all’altro, pur nella propria diversità.
Dall’altro lato, la distanza tra le persone – concetto opposto all’inclusione – verrebbe addirittura approfondita nel momento in cui una sala riservata costituisce una vera e propria barriera fisica, inconcepibile durante un momento ludico che tutti dovrebbero condividere insieme, oltre ogni diversità.

dal buco di una porta di legno esce la mano di un bambino che tiene un fiore giallo

E invece no!

Ho pensato molto a tutto questo, e sinceramente non trovo alcun fondamento in quanto è stato detto: al contrario credo che la proiezione Autism Friendly sia un tentativo di apertura verso i nostri ragazzi, un’occasione da valutare, sfruttare e magari potenziare.

Che non sia una soluzione adatta ad ogni autismo è chiaro e quasi scontato. Tra l’altro, siamo onesti: esiste una soluzione adatta a tutti?
Nessun autismo è uguale all’altro, come pure nessuna vulnerabilità sensoriale.
Ogni persona soffre per stimoli anche molto diversi tra di loro: all’interno di un’unica diagnosi di autismo, troverai – ad esempio – chi come Giuliano non sopporta i rumori forti o la musica, come pure chi in una canzone ritrova la propria espressione emotiva con effetti calmanti.

Di questa diversità va preso atto, e va accettato che un qualsiasi progetto sull’accessibilità debba partire dalle problematiche sensoriali più comuni, come appunto quelle prese in considerazione nella proiezione Autism Friendly: ostilità verso luci e rumori, selettività alimentare, impossibilità di restare fermi ed in silenzio.

Assurdo, quindi, parlare di discriminazione o di non inclusione: se la base di partenza è l’individuo ed il suo essere uguale e con gli stessi diritti, non si può prescindere proprio dalle singole diverse condizioni.
Per garantire l’ugualianza sostanziale, bisogna partire proprio dall’opposto concetto di diversità: è tenendo conto di quest’ultima, infatti, che si possono attuare gli accorgimenti necessari affinché si possa avere le medesime opportunità.

mani di due bambini che sistemano i pezzi di un puzzle

In nome dell’inclusione

In nome dell’inclusione, si pretende che tutti si stia all’interno del proprio contesto: niente di più insulso e lontano dal vero significato del termine.
Credo che essere insieme a tutti i costi significhi, piuttosto, non avere rispetto delle naturali diversità tra gli individui.

Se vado a vedere un film, mi piace vederlo ed esserne coinvolta con il dolby ad alto volume, mentre se mio figlio guarda un film, lui prova piacere solo se a volume basso e non diffuso: perché privarci entrambi di ciò che ci fa star bene, ponendoci in una situazione di reciproca costrizione, quando potremmo farne a meno?

L’inclusione vera si ha quando tutti possiamo avere accesso alle medesime opportunità, che si possano o meno attuare insieme.
Tutto il resto è una inutile forzatura, che non appaga nessuno e che, al contrario, stimola l’intolleranza per il diverso da noi.

La vera discriminazione? È l’inesistenza di progetti simili a questo, che prendano in considerazione la possibilità di una reale partecipazione alla vita sociale da parte di chi vive una diversa condizione.

adulti e bambini che parlano e ridono insieme

Perché non farne una palestra o un’occasione per stare insieme agli altri?

Tu che non sopporti l’idea di portare tuo figlio in una sala cinematografica diversa da quella standard, ti sei mai fermato a pensare che questo progetto può diventare un’occasione per aiutarlo a superare le sue difficoltà e l’isolamento sociale?

Avere la possibilità di una sala dedicata, ti permette di iniziare un training ABA tramite il quale aiutare tuo figlio ad un adattamento ambientale tale che, magari, in futuro vi permetterà di godere la visione di un film in una sala a proiezione standard. Un training che sarebbe impossibile da fare in condizioni diverse! Ci avevi pensato?

D’altro canto, l’accesso alla sala con proiezione standard o con proiezione Autism Friendly è una libera scelta per tutti gli utenti! Non viene fatta una selezione all’ingresso, non vengono separati i neurotipici dai neurodiversi, nessuna certificazione è richiesta: semplicemente ognuno sceglie in quale sala guardare lo stesso film.
Hai pensato che magari, grazie a questo progetto, puoi avere la possibilità di andare al cinema con tuo figlio (autistico) assieme ai suoi compagni di scuola, ai cuginetti, ai tuoi stessi amici? Sì, tutti insieme in una sala Autism Friendly, nella quale tuo figlio non soffrirà del sovraccarico sensoriale e potrete vivere l’esperienza, altrimenti proibitiva, del cinema con i tuoi cari. Non è questa la vera inclusione?

bambini in uniforme che giocano in un parco e che in cerchio si danno il cinque

Per come la vedo io…

Io sono la prima a soffrire della diversità di mio figlio e dell’impossibilità a vivere la maggior parte delle esperienze cui gli altri hanno facile accesso… ma non c’è soluzione. E quando una cosa non si può risolvere, va accettata ed affrontata, cercando di lasciare da parte la rabbia ed andando alla ricerca della miglior soluzione possibile.
La nostra non sarà mai una soluzione ottimale: bisogna quindi darsi da fare per stimolare la nascita di iniziative come questa ed arrabbiarsi nelle situazioni in cui nulla esiste!

Questo progetto non è perfetto e molte cose potrebbero essere migliorate. Ma invece di demolirlo e ritornare al nulla, diamoci da fare con critiche costruttive, rimbocchiamoci le maniche e sporchiamoci le mani… perché non c’è nulla di più facile che lamentarsi e non fare niente.
Intorno alla disabilità c’è il deserto: serve coltivare entusiasmo verso una società che impari a guardare ad essa, non più come un ostacolo o un fardello da sopportare, ma come un’occasione per migliorare la vita di ognuno di noi.

(Si ringrazia per la foto di copertina Angel Origgi on Unsplash)

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