Vivere la condizione di autismo, specialmente se con compromissione cognitivo relazionale e con problemi di sovraccarico sensoriale, spesso ti pone davanti all’incapacità di affrontare determinate situazioni e all’impossibilità oggettiva di superare una moltitudine di difficoltà. Ne consegue una vita il cui cammino è contrassegnato per lo più da limiti, che coinvolgono sia la sfera personale che sociale non solo della persona stessa, ma di tutta la famiglia che le sta accanto.

Si tratta di ostacoli insiti nella condizione autistica stessa, il cui superamento non dipende dalla mera volontà di chi vive l’autismo: egli, infatti, si ritrova del tutto inerme di fronte a tali difficoltà.

Sai cosa significa questo nella vita di tutti i giorni?
Che il quotidiano si fa ancora più complicato, che l’isolamento e la stigmatizzazione si fanno sempre più aspri e che alla lunga vivere diventa sinonimo di prigionia.

Di che cosa parlo?

Sto parlando di tutto ciò che noi facciamo naturalmente e che, insieme al respiro e al battito del nostro cuore, chiamiamo vita.
Dall’essere dipendenti dal pannolino fino all’età adulta, al non essere capaci di camminare se non mano nella mano a qualcuno, oppure dall’impossibilità di tollerare una breve attesa senza avere una crisi di nervi, al non riuscire a sopportare la musica anche a bassissimo volume.

Per noi genitori di Giuliano, ad esempio, ad oggi non è dato nemmeno pensare di poter andare fuori per un weekend a visitare una città, di fare una scampagnata, di andare in una sala giochi o ad una festa coi suoi compagni di scuola, di andare in una casa che lui non conosce, di andare ad un concerto con lui, di portarlo al cinema, o persino guardare un programma televisivo che non sia scelto da lui… e l’elenco potrebbe allungarsi all’infinito. La sua incapacità di esprimersi con la parola, inoltre, diventa l’ennesimo ostacolo tra di noi.

Certo, si può vivere anche senza tutto questo… ma che cosa resta per chi ha già una vita segnata dall’impossibilità di fare progetti, sognare o pensare al futuro?
Resta solo il respiro, un cuore che pompa e un’attività cerebrale, insufficienti da soli a fungere da unico motivo per avere voglia di alzarsi dal letto ogni mattina.

un pugno che si libera dalle catene

La risposta in un training

Per molto tempo mi sono chiesta se davvero fossimo destinati solo a subire le regole dell’autismo che, in quel momento, sentivo spietate quanto sconosciute ed incontrollabili.
Dopo un fisiologico periodo di sconforto, dolore, rabbia e poi accettazione di ciò che il destino, anche senza il tuo consenso, ti ha riservato, non puoi che decidere: fare di tutto per riprenderti un po’ della tua vita o lasciarti morire dentro insieme a ciò che non hai?

Se devo convivere in compagnia di questo odioso ospite, mi sono detta, farò in modo che in questa vita non ci sia una briciola in più di ostilità di quella che non sarà possibile evitare.

Ricordo ancora il giorno in cui, io e mio marito, parlammo al nostro supervisore Aba di quello che è stato il nostro primo desiderio: togliere il pannolino a nostro figlio di 5 anni.
Un obiettivo che sentivamo importante: per lui, che sarebbe stato libero da quell’ingombro sempre più grande e dalle piaghe ed irritazioni sempre più frequenti in una pelle macerata da pipì e feci incontrollate; per noi, che non volevamo più vederlo soffrire, dimenarsi e spogliarsi di continuo per ribellarsi a quel fastidio.
La risposta del supervisore fu quella di accompagnarci nel nostro primo training.

madre e figlio seduti di spalle indicando qualcosa all'orizzonte verso il mare

Training Aba: di cosa si tratta?

Se è vero che, come ho già avuto modo di dire, l’Aba (Analisi del Comportamento Applicata) è una scienza che si basa sull’osservazione oggettiva del comportamento, degli elementi che lo condizionano e di quelli in grado di apportarvi cambiamenti, è proprio attraverso un training personalizzato che, nella maggior parte dei casi, si può intervenire su un dato comportamento.

Training significa preparazione, impegno, allenamento: solitamente tutt’altro che semplice, ci sono regole da seguire, un lavoro costante da svolgere e tanto auto controllo, senza i quali il risultato non potrà mai arrivare.
Ed anche quando si è disposti a lavorare duro, a mio avviso, prima di decidere di intraprendere un training è necessario verificare l’effettiva presenza di alcune condizioni, di ordine sia personale che familiare che sociale, senza le quali una tale fatica ed impegno non avrebbero alcun senso, indipendentemente dal risultato.

un uomo di spalle, con accanto oggetti della sua infanzia, su un pavimento a scacchiera ha davanto a sè tre porte su uno sfondo che è il  cielo

Un training solo se…

Scegliere di intraprendere un training per modificare un comportamento o una reazione di tuo figlio con autismo in una particolare situazione significa, prima di tutto, guardarsi dentro con onestà intellettuale ed emotiva: solo se tu, per primo, senti di essere pronto a seguire regole ferree e sei fortemente motivato al cambiamento, potranno arrivare i risultati.

Innanzitutto chiediti se il cambiamento che vuoi apportare sia davvero importante per te, per tuo figlio e per tutta la famiglia: la vostra motivazione deve essere molto forte.
Intraprendere un training significa spendere tempo, energie, impegno e sacrificio per un periodo potenzialmente molto lungo, perché nessuno sa darti una previsione di quanto tempo impiegherà tuo figlio per questo obiettivo… e se non sei più che motivato, mollerai di fronte alle difficoltà.
A mio figlio sono serviti due lunghissimi anni di toilet training per raggiungere il controllo sfinterico diurno, e solo sei settimane per riuscire a portarlo con me al supermercato: due obiettivi raggiunti con una tempistica che, in entrambi i casi, non avrei mai immaginato.

La decisione di intraprendere un trainig, poi, va condivisa con tutta la famiglia: è impossibile pensare, infatti, che queste esercitazioni non coinvolgano tutti come parte attiva, foss’anche occasionale.
Dinanzi ad un comportamento da correggere, infatti, per agevolare il cambiamento voluto è necessario che ogni membro della famiglia adotti la stessa strategia.
Di fronte alle urla di disappunto di Giuliano al supermercato, se io lo avessi ignorato permettendogli di andarsene solo dopo essersi calmato (come da training), mentre mio marito gli avesse permesso di uscire durante le sue urla, l’obiettivo di nostro figlio di tollerare il tempo della spesa mantenendo un comportamento socialmente accettabile sarebbe stato di molto compromesso.

Lo scopo da raggiungere con un training, inoltre, deve essere importante anche per un altro motivo: si tratta di un allenamento che dura per tutta la vita. 
Imparare ai nostri figli con autismo ad adattarsi alle situazioni stressanti, come appunto può essere il supermercato per Giuliano, non significa eliminare le frustrazioni e le difficoltà che hanno in quella situazione, ma soltanto imparare a gestirla. Ecco che, per mantenere questo risultato nel tempo, debbono continuare ad allenarsi, per sempre anche se, ovviamente, con una frequenza minore.
Se durante il training di mio figlio siamo andati al supermercato praticamente tutti i giorni, per non perdere i risultati ottenuti ora ci basta portarlo ogni due settimane…. Ma guai a non andarci più: i tempi di resistenza diminuirebbero drasticamente fino ad annullarsi nel tempo.

un uomo che attraversa una strada nuotando

Il training nei suoi aspetti tecnici invece…

Nel suo svolgimento, un training richiede di seguire il programma del supervisore Aba, allenarsi in modo intensivo e costante, fare una presa dati e dedicare appositi rinfonzatori a questo scopo.

Un buon training, infatti, va progettato a tavolino con il tuo supervisore Aba, di modo da tener conto delle peculiarità di tuo figlio e delle esigenze familiari.

Fare una presa dati di ciò che accade durante il training, inoltre, è fondamentale per apportare al programma i necessari correttivi che, col tempo, rendono possibile il raggiungimento dell’obiettivo.

Oltre a fare un lavoro costante ed il più possibile frequente (più ci si allena e prima si raggiunge l’obiettivo!) è importante individuare dei rinforzi potenti da dare a tuo figlio proprio in occasione del training: se non ha un motivo per cambiare, non lo farà!
Giuliano accetta di venire al ristorante solo per mangiare le patate fritte! L’unica occasione in cui gliene concedo, e a volontà, è proprio quella.

Sono troppo rigida ed intransigente ai tuoi occhi?
Se hai a che fare con l’autismo, sai che solo la fermezza può aiutarti a gestire ogni giornata.

in mezzo al deserto una bottiglia con acqua, un pesce e una piccola barca dentro

Buttati in un training… ma resta ancorato alla realtà!

Deve esserti chiara sempre una cosa nella disabilità: nessuno saprà mai dirti cosa riuscirà a fare o non fare tuo figlio.

Neanche un “training perfetto”, se mai esistesse, potrebbe essere garanzia di successo. Non si può prescindere, infatti, dal peso specifico che la disabilità ha sui nostri figli, ognuno diverso dall’altro.

Guardo Giuliano e sono convinta che ci sono limiti che nessun training potrà mai fargli superare: i luoghi affollati, spazi ristretti, troppa luce o troppo poca, la confusione…
Ma grazie ai training non sono pochi i successi ottenuti: Giuliano ha raggiunto il controllo sfinterico (toilet training), mi accompagna a fare la spesa al supermercato, si intrattiene al bar, viene al ristorante.
Ora siamo impegnati in un training per farlo adattare alle lunghe attese nelle sale d’aspetto ospedaliere: un allenamento molto duro per tutti ma necessario per la sua patologia metabolica.

C’è una cosa, però, che mi dà la voglia e la forza di affrontare un training dopo l’altro: la volontà di non arrendermi ai limiti andando alla conquista dei piccoli grandi spazi di libertà sottrattici e, se non di aver raggiungo l’obiettivo, la serenità di accettare ciò che non posso cambiare… ma solo dopo averci provato!


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