Nel vivere la disabilità, si è spesso sotto lo sguardo pesante degli “altri”: i movimenti goffi, le deformità fisiche, le urla di disappunto o di gioia che siano, quei versi che diventano parole incomprensibili a chi è spettatore della tua vita… tutto questo fa sì che gli altri si voltino, più o meno platealmente, ad osservarti e a giudicarti.
Come? Come un poverino, sfigato o da compatire a seconda dell’umana pietas, dal quale comunque prendere le distanze.
È istintivo questo, lo so… ma la mancanza di volontà a farti sentire diverso e “poverino” non rende quello sguardo meno pesante o doloroso per chi se lo sente addosso.

Chi cerca pietà e chi invece no!
Va detto, invero, che sono molti i disabili ed i loro familiari che nel pietismo ci sguazzano!
C’è chi vive per la “pacca sulle spalle” altrui, che crede che un “poverino” gli restituisca le energie e la fatica di una vita ingiusta e pesante, o che gli renda giustizia di tutto ciò che fa ogni giorno per sopravvivere, illudendosi di ricevere per questa via una dignità più splendente agli occhi di chi lo osserva… mentre si illude, e di brutto!
C’è una differenza enorme, infatti, tra essere compatiti ed essere compresi: una discrepanza capace di fare la differenza tra il credersi circondati d’affetto e l’essere soli, assolutamente soli.
Dall’altra parte, invero, c’è una moltitudine di persone che rifiuta ogni pietismo ed ogni suo sguardo: persone fiere che portano il medesimo fardello, vivono le stesse ingiustizie e sentono la stessa fatica condita da un’immensa paura ma senza mai abbandonarsi al vittimismo.
Tra queste persone, anch’io: quel “poverina” mi infastidiva già da piccola, quando me lo sentivo addosso per l’aver perso mia madre a sei anni… ora mi fa proprio arrabbiare, specialmente quando lo vedo su mio figlio Giuliano, reso disabile da una malattia genetica rara e conseguente autismo secondario.
Intorno a me non voglio pietismo né ammirazione, indulgenza né rigidità: in assenza dell’empatia di chi ama la vita in ogni sua forma, preferisco di gran lunga l’indifferenza e la solitudine vera… perché la verità non potrà mai farti del male oltre ciò che è.

Gli sguardi che piacciono a noi!
Cosa mi fa essere contenta e speranzosa per la vita di mio figlio?
Incontrare persone che lo guardino con naturalezza, che ne comprendano la sua condizione e che ne rispettino natura e modo di essere, senza pietismo ma con uno sguardo di amore per la vita.
Sono gli occhi di chi guarda col cuore quelli che cerco tra le persone… come quelli di Rosaria!
So molto poco di lei: è barista in un bar pizzeria dove io e mio figlio ultimamente andiamo a fare merenda dopo il nostro training al supermercato.
La prima volta andiamo e, com’è naturale che sia, Giuliano va in frustrazione, per mille motivi: un luogo che non gli è familiare, una routine inesistente in quell’ambiente, l’attesa per avere la sua bottiglia di acqua gassata e quella successiva per pagare, il sedersi ad un tavolo attendendo ancora di finire la sua merenda (che non ama affatto!) prima di farsi un giro sulla giostrina come premio.
Rosaria guarda mio figlio con naturalezza: comprende immediatamente e fa per servirmi subito, come gesto di gentilezza.
Nel mio esserle sinceramente grata per un’accortezza rara in queste situazioni, rifiuto comunque di saltare la fila: <<Deve imparare ad aspettare… siamo qui per questo>>, e con un sorriso reciproco facciamo entrambe quello che dobbiamo.

In tante altre volte che siamo andate, mai uno sguardo di sorpresa, di imbarazzo o di disagio di fronte alle urla o ai comportamenti problema di mio figlio… e in quel suo essere a suo agio insieme a noi ho trovato tanta serenità e libertà di bermi quel cappuccino con mio figlio, qualsiasi cosa accada.
Una delle ultime volte mi ha detto <<Giuliano non sembra più lui dalla prima volta che siete venuti>>… e se il training ha assolutamente dato i suoi frutti, sono sicura che anche la spontanea accoglienza di quella ragazza, priva di pietà e rigidità nei nostri riguardi, ha fatto sì che mio figlio si sentisse tranquillo ed accolto con affetto.
È di questo che c’è bisogno, per Giuliano come per ognuno di noi: che ci sia più rispetto, indulgenza, empatia, accoglienza; in una parola, che ci sia meno pietismo e più occhi disposti a guardare col cuore.
Sei d’accordo anche tu?
Sei bravissima a spiegare come ci si sente..
Mia figlia Alessandra ha 43 anni …, Ho pensato mille volte ciò che hai scritto.
Giuliano è un bambino bello e fortunato, visto che i primi occhi che ha visto sono stati i tuoi!!
Mi piacerebbe sapere in quale città vivete.
Spero ti farà piacere rispondermi.
Un abbraccio… E soprattutto uno sguardo davvero molto naturale🤷😚
Ciao Anna! Abitiamo a Castelbellino, un paese in provincia di Ancona.
Un abbraccio a te e tua figlia!