Se la disabilità non fa parte della nostra vita in maniera diretta, quando siamo chiamati a pensarla o parlarne, rischiamo di non renderci pienamente conto di cosa significhi viverla da vicino. Ce ne facciamo un’idea stereotipata, spesso generica se non addirittura semplificata, rispetto alla complessità che caratterizza ciascun caso specifico ed unico.

Per questa ragione, ogni occasione di incontrare e parlare con chi ci si raffronta da vicino, magari anche solo come esperienza lavorativa, è sempre di grande arricchimento. Sarà evidente quanto nulla sia da dare per scontato, quanto i bisogni speciali vadano approcciati con delicatezza e sensibilità, quanto i disabili lascino ogni volta una bella lezione di vita.  
Oggi ho voluto farmi raccontare l’esperienza di Claudio Belardinelli, un amico che da anni è istruttore di nuoto e mette a frutto la sua professionalità anche con ragazzi che convivono con disabilità motorie ed intellettive. Un amico che dalle sue esperienze con questi ragazzi torna sempre carico di speranza, entusiasmo e pro-positività: valori di cui ho voluto parlare più a fondo con lui.

Un lavoro come tanti?

Claudio ha conseguito il suo primo brevetto di istruttore di nuoto primo livello nel 1996, con la Federazione Italiana Nuoto, insegnando nuoto a bambini normodotati per diversi anni. La sua esperienza con la disabilità è iniziata poi nel 2008, lavorando con un gruppo già compatto e molto numeroso, che nuotava livello agonistico con ottimi risultati.
Per poter insegnare nuoto agli atleti, Claudio ha dovuto conseguire il brevetto da istruttore di nuoto, sia con la F.I.N.P., sia con la F.I.S.D.I.R, le federazioni deputate alla preparazione specifica in ambito di disabilità motoria ed intellettiva.  A completare la formazione ci sono stati poi i brevetti di primo e secondo livello conseguiti con la Federazione Italiana Nuoto. Mi ha anche raccontato di aver imparato moltissimo sul campo, ascoltando gli altri allenatori che erano intorno a lui con più esperienza.

A questo punto ho voluto sapere più nello specifico quali tipi di disabilità sono ammesse a questo sport. Claudio mi ha spiegato che sono ammessi tutti i tipi di disabilità: fisica (problemi motori abbastanza rilevanti, amputazioni, ipovedenti) o intellettiva (sindrome di down, sindrome di Asperger, autismo, ecc…). Nella disabilità fisica, gli atleti vengono sottoposti a una “visita di classificazione”, sia in acqua che fuori vasca, per valutare la mobilità articolare dell’atleta e farlo gareggiare con atleti di pari categoria. Gli atleti ipovedenti hanno una categoria a parte, visto che hanno bisogno dell’accompagnatore, oltre che aiutarlo nel percorso all’interno dell’impianto natatorio, hanno a disposizione un “tapper”, cioè un bastone con una palla in fondo, che viene colpita dolcemente sulla testa dell’atleta, per fargli capire quando è il momento di effettuare una virata o la fine della gara. Gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale, invece, vengono fatti gareggiare nella stessa categoria, con uguale età nel caso di sindrome di down, e ad età miste negli altri casi.

Oltre  la disciplina

La mia curiosità si è orientata sulla relazione tra lui come allenatore ed i ragazzi come allievi, per capire se tra le due parti ci fosse un rapporto personale che va oltre quello sportivo. Claudio mi ha risposto così:
“Nel corso degli anni, in generale il rapporto è stato sempre allenatore-atleta, parlo molto con loro a fronte di problemi legati alla prestazione sportiva, supportandoli anche dal punto di vista psicologico. A volte però, quando gli atleti arrivano in piscina, prima di entrare in acqua mi raccontano episodi di vita personale o alcune difficoltà che hanno avuto durante la giornata, ed io spontaneamente cerco di accogliere e ascoltare i loro sfoghi. Il momento più speciale in cui riesco a parlare con loro, scoprire qualcosa in più del loro carattere, personalità, vita privata è nella trasferta dei campionati italiani estivi, in cui si sta tre o quattro giorni tutti insieme, spostandosi in un’altra città e condividendo ogni cosa per tutto il tempo”.

Alla mia domanda volta a sapere se ci fossero dei messaggi particolari che nel suo agire come allenatore lui tenta di trasmettere ai suoi ragazzi, Claudio mi ha risposto che in cima alla lista c’è lo spirito di squadra, su cui si lavora anche con le staffette in gara in rappresentanza della società. Un altro valore fondamentale è il sacrificio, perché i ragazzi debbono comprendere che sono in piscina per raggiungere un obbiettivo. Quindi il motto è quello di “non mollare mai”, anche se a volte gli atleti sono costretti a gareggiare in condizioni non ottimali per loro, come ad esempio i fastidiosi gli occhialini, che spontaneamente i ragazzi si tolgono subito dopo la partenza per il fastidio dell’impatto con l’acqua, ma che invece andrebbero indossati fino al termine della gara. 
Se parliamo allora delle sfide più complesse di questa attività, quali saranno gli ambiti principali?
“L’ambito psicologico è il più delicato per me, visto che non è facile preparare gli atleti alla gara, oltre che da un punto di vista fisico, anche da un punto di vista mentale, eppure l’approccio alla competizione è molto importante. L’altro aspetto con diverse criticità è stato quello motorio: questi atleti non hanno un bagaglio motorio ampio come i normodotati o i neurotipici, quindi a volte per loro è difficile riprodurre il gesto tecnico; negli anni però questi bravissimi atleti hanno saputo colmare le loro difficoltà e il lavoro combinato di allenatori e genitori ha prodotto una crescita dei ragazzi su tanti fronti.”

Un nuotatore percorre la vasca di una piscina


Chiedo quindi a Claudio quale sia stata l’esperienza che non dimenticherà mai.
Lui mi racconta di una medaglia d’oro vinta qualche anno fa dai suoi ragazzi, nella staffetta 4×100 metri mista: è stato indimenticabile perché hanno ottenuto un grande successo pur avendo gareggiato con l’imprevisto che al secondo atleta gli occhialini sono sfuggiti tra la bocca e il naso, per la partenza veloce dal blocco.

La vittoria più importante? L’autonomia!

Dopo così tanti anni di esperienza, Claudio saprà senz’altro dirmi la sua: gli domando quindi in che modo lo sport, specialmente quello che prevede la competizione come il nuoto agonistico, regala benefici alla vita di un disabile. Mi risponde che lo sport nel corso degli anni ha reso molto autonomi questi atleti, sia a bordo vasca che nel momento della gara, i ragazzi ormai non hanno bisogno di alcun aiuto, anche nello spogliatoio riescono a prepararsi per l’ingresso in acqua o farsi la doccia e vestirsi una volta terminato l’allenamento senza nessun supporto, quindi attività sportive come queste aiutano sicuramente ad avvicinare i disabili a una maggiore autonomia. A livello fisico poi, è utile che i ragazzi si avvicinino allo sport, in particolare al nuoto, perché hanno la possibilità di migliorare la loro condizione fisica soprattutto a livello di coordinazione, si misurano oltre che con gli avversari con loro stessi, visto che il nuoto è anche un sport individuale; imparano a gestirsi da soli sia in vasca che nello spogliatoio, trovano tante occasioni di spostare in avanti il confine dei propri limiti.

Ecco, voglio esprimere tutta la mia stima verso chi, come Claudio, investe il suo tempo libero in attività così delicate come quelle che aiutano i disabili ad avvicinarsi allo sport. Non è da tutti! Serve un bagaglio di sensibilità, pazienza, grinta, fiducia e sincero affetto verso gli atleti, che in pochi hanno. Sono questi valori, per me, l’oro fuso con cui la medaglia del successo più alto può essere ogni volta forgiata e vinta, al di là dei millesimi di secondo che segna il cronometro e dei metri percorsi a nuoto.

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