Un anno difficile questo… come altri, come tanti, dove l’impotenza si è fatta sentire più forte.
In molti ci siamo sentiti soli, spesso disarmati, ad affrontare le battaglie ad armi spuntate che la vita ti mette davanti.

La pandemia ha messo sotto i riflettori le criticità di un sistema che non ha mai funzionato e che, oggi più che mai, non regge alle pressioni di ciò che è sempre più necessario ed improrogabile.
Molti si lamentano delle limitazioni agli spostamenti, delle rinunce ai momenti di convivialità e di svago… magari fossero queste le cose che ho patito e patisco di più.

Chi vive la disabilità conosce bene il sacrificio delle infinite rinunce di ogni giorno, che non è mai temporaneo, contingente o superabile, ma che accompagna la propria vita sempre e per sempre.

Sai chi vive nella fragilità cosa ha patito di più? Cosa si vede tolto in questo periodo più che in altri?
La possibilità migliorare la propria condizione tramite terapie riabilitative, di mantenersi in salute grazie a controlli medici frequenti, di raggiungere piccoli grandi traguardi che, seppur insignificanti ai più, costituiscono le uniche possibilità per aprire piccoli varchi nella prigionia della disabilità.

la mano di un bambino che prende una foglia rossa da una pozzanghera

Ormai le terapie sono ridotte all’osso ed è esclusa la possibilità per gli accompagnatori di parteciparvi, quindi, si verifica l’impossibilità di replicare e proseguire il lavoro riabilitativo a casa, con ovvi rallentamenti sui possibili progressi.

Gli interventi educativi ed assistenziali – nella maggior parte dei casi in mano alle cooperative, svuotate di personale migrato nelle assunzioni covid del settore pubblico – non solo vengono forniti ad intermittenza, ma spesso vengono svolti da personale senza una specifica preparazione: vige l’incapacità, quindi, di apportare un reale aiuto all’utente, creando un vuoto intorno al disabile, quando non un vero e proprio danno al lavoro fatto fino a quel momento.

Chi come mio figlio – autistico in comorbilità ad una patologia rara – segue l’Aba ad esempio, sono mesi che non gode di una supervisione in presenza, quindi della possibilità che le sue figure di riferimento possano confrontarsi e, sotto la guida di un esperto, analizzare errori, mettere a punto strategie e nuove tecniche da adottare per proseguire sugli obiettivi prefissi… obiettivi che da molti mesi restano gli stessi, in uno stallo insostenibile per tutti e dannoso per il disabile.
Sono mesi persi, in cui gli incontri on line mostrano tutta la loro inutilità ed inefficacia: tempo buttato che non potrà mai essere recuperato, lasciando chi già è indietro, ancora più indietro.

In questo clima di generale precarietà, è raro trovare persone che riescano, nonostante tutto, a mantenere a fuoco l’obiettivo: ognuno è preso dalle proprie difficoltà personali, lavorative ed economiche, e ci si dimentica spesso che per certe professioni non si tratta di svolgere la lista delle mansioni per cui si viene assunti, ma quasi di una vera e propria missione.
Nella disabilità si tratta di aiutare la persona a crescere, ad acquisire nuove competenze, ad integrarsi con gli altri, a mantenere una serenità ed un equilibrio nonostante le singole limitazioni e difficoltà, fisiche cognitive o comportamentali che siano… ma anche prendersi carico della famiglia, darle sostegno, sollievo e soprattutto – soprattutto – dare alle famiglie la pace che arriva solo con la consapevolezza di  fare tutto ciò che è possibile per arrivare a fare anche quel piccolo passo avanti in più.

un fiore giallo in mezzo alla vegetazione nera

In trappola

Mi sento un leone in gabbia.
Posso comprendere tutto e tutti… ma al contempo vedo che nessuno di coloro che mi sono attorno comprendono a loro volta la mia urgenza di madre di un bambino come il mio.
Mio figlio ha bisogno proprio oggi di crescere, proprio oggi di lavorare duro, oggi di migliorare, proprio oggi di fare quel progresso in più… proprio oggi, e non domani, perché un giorno perso non può essere recuperato quando lotti contro i limiti della disabilità.

Questa mia consapevolezza ed urgenza la ritrovo in molte famiglie che si trovano nella mia stessa situazione: eppure le nostre urla sembrano non fare abbastanza rumore per essere ascoltate davvero, comprese, accolte e dato loro un seguito.

<<Voi dovete fare i genitori, non i terapisti dei vostri figli>> ci sentiamo ripetere da sempre.
Ed è verissimo, perché nella commistione di ruoli madre-figlio-terapista-educatore-utente, come nel mio caso, è facile che si creino conflitti che sicuramente non costituiscono il miglior terreno su cui seminare il cambiamento, la collaborazione, la crescita ed il miglior risultato possibile. 
Eppure, se ti dicessi che di fatto siamo proprio noi, genitori che non hanno voluto ascoltare fino in fondo questo consiglio, il perno su cui poggia spesso la miglior riabilitazione dei nostri ragazzi?

In questa situazione, di formale presa in carico e sostanziale abbandono, vedo poca volontà di fare autocritica, di assumersi le proprie responsabilità, di riconoscere il fallimento purtroppo… mentre solo per questa via è possibile trasformare un fallimento in un’opportunità.

nuca di un uomo che si sta allacciando un bandana rosso da lottatore

Cosa posso fare

Di fronte a questa emergenza sanitaria, in un contesto sociale in cui la disabilità ed i suoi bisogni sono stati da tempo relegati ai margini di ogni intervento per le scelte politiche succedutesi negli anni, neppure le lotte personali per i propri diritti trovano una porta a cui bussare senza che la risposta sia <<no a causa dell’emergenza covid>>.
Ma se a livello burocratico ed istituzionale non puoi che patire questo stallo, a livello personale è necessario che tu reagisca.

Io non ci so stare nell’immobilismo, specialmente quando ho la consapevolezza che il mio attendere senza fare niente significa togliere a mio figlio la possibilità di avere, progresso dopo progresso, un futuro migliore di quello che avrebbe se la sua condizione restasse quella attuale.
Questo significa trovare, ognuno per quel che può, strategie da mettere in atto per diventare parte attiva nella vita anche riabilitativa e sociale del proprio figlio.

Mi sono messa a studiare, di nuovo; mi sono iscritta ad un corso per tecnico Aba; ho ripreso con maggior assiduità ad insegnare a mio figlio autonomie e a lavorare sul cognitivo, approfittando ancor di più delle routine quotidiane, sempre piene di spunti verso nuovi apprendimenti; non perdo occasione, nonostante il periodo, di metterlo in condizioni di poter sperimentare, passo dopo passo, una sempre maggior socializzazione.

Se ci sono cose che puoi cambiare, se c’è qualcosa che puoi fare per uscire da questo stallo… fallo!
Le difficoltà ed il peso di ciò che viviamo, soprattutto quando sono causa degli eventi esterni, non possono che essere accettate, è vero.
C’è però una componente imprescindibile che spesso rimane indietro, e siamo noi: ciò che siamo con la nostra storia, quanto ci impegniamo, quanto ci prepariamo, lottiamo o arrendiamo.
Sì, perché in tutto ciò che puoi cambiare, anche quando non è colpa tua, sei sempre tu il responsabile di ciò che permetti che ti accada. Fai in modo, allora, che la tua responsabilità sia solo quella di aver fatto tutto quello che potevi in quel momento… senza rimpianti, con la speranza ed il sorriso rivolto a tuo figlio, che merita senz’altro un futuro migliore.

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