In un giorno qualunque, persa come sempre tra le mille incombenze per mio figlio, affetto da una malattia rara ed autismo secondario alla sua patologia, faccio una telefonata… di troppo.

<<Non ci conosciamo dottore: sono la mamma di Piccioni Giuliano, affetto da una malattia metabolica e avrei bisogno di… >>.
Nemmeno finisco la frase che dall’altra parte mi sento interrompere e dire <<Sì, so bene chi è suo figlio, c’ero i giorni in cui è nato…>>.
Non ho capito, o non volevo capire:  <<Come prego?>>.
E mi sento ripetere: <<C’ero quei giorni in ospedale, me lo ricordo bene suo figlio>>.

In quell’istante tutto si è fermato, compreso il mio cuore: ho cominciato a tremare visibilmente, il fiato si è fatto corto e la pressione era forte in testa… ho sentito dentro il gelo della morte.
Mi sono accasciata a terra e ho pianto tutte insieme le mie lacrime: quelle inesaurite ed inesauribili di dieci anni fa, quelle che non avevo versato in questi anni in cui la mia forza era quella di mio figlio e della mia famiglia, e le lacrime di quel momento, che nascevano dalla rabbia verso quelle parole sfrontate, dall’altra parte del telefono. 

una culla vuota dentro una stanza buia con luce nella porta della stanza accanto

Se lo ricorda bene eh chi è mio figlio… e se dopo dieci anni si ricorda il nome di un bambino che non ha più visto se non quei primi tre giorni, questo a me la dice lunga.
Forse perché il suo nome ricorre nelle cartella clinica più volte? Forse perché le sue decisioni hanno determinato di fatto lo stato neurologico di mio figlio?

Per quanto io sia una persona razionale e possa comprendere l’errore umano, non la potrò mai perdonare per non aver messo il cervello di mio figlio in sicurezza con un ammonio così alto a un giorno dalla nascita. Non la potrò mai perdonare per aver disposto il trasferimento di mio figlio in un altro ospedale munito di terapia intensiva, solo dopo che io ho minacciato lei ed i suoi colleghi, col telefono in mano, di chiamare la polizia se non lo aveste fatto immediatamente.
Ma quando sotto minaccia lo avete fatto, l’ammonio era ormai a valori altissimi, vi erano emorragie cerebrali ed il danno neurologico era già stato procurato. Un errore che nemmeno uno specializzando avrebbe mai commesso… sa, in questi anni qualche convegno medico me lo sono seguito anch’io!

Non si nasconda dietro la malattia genetica rara con la quale è nato: certo, mio figlio avrebbe avuto una situazione metabolica come quella attuale… ma se fosse stato messo in sicurezza ed in T.i.n. subito, lui oggi non starebbe così e la sua situazione neurologica sarebbe ben diversa! E questo non lo dico mica io, ma i medici che si confrontano ogni giorno con la sua patologia.

Se lo ricorda bene mio figlio? La negligenza con cui avete operato allora le ha tolto qualche nottata di sonno?
Poca cosa rispetto alla sofferenza di mio figlio, alla sua difficoltà a decodificare il mondo, alla sua incapacità di relazionarsi con un suo pari, al futuro che lo aspetta… lui non parla né sarà mai autonomo, questo lo sa? Non doveva andare così…
A me e mio marito ci avete colpevolizzati di essere due neo genitori ansiosi… mentre sarebbe bastato un bagno di umiltà da parte vostra, ammettere di non sapere cosa fare e lasciare che altri lo mettessero in sicurezza.

Ho passato gli ultimi dieci anni ad evitare di rincontrare lei ed i suoi colleghi: i vostri volti sono scolpiti a sangue nella mia mente, uno ad uno.
Non ho più rimesso piede in quell’ospedale nemmeno per un banale prelievo, né mai ci verrò.
Non abbiamo mai intentato una causa, noi genitori: e non perché non siamo certi dell’errore fatto, ma per dimenticare… per non dovervi dimostrare nulla… per non dover rimarcare ancora e ancora i deficit cognitivi di mio figlio… perché nessun risarcimento ci avrebbe fatto sentire in pace.

E lei oggi si permette di sbattermi in faccia che sa bene chi siamo? Dopo tutto questo tempo?
Sarebbe stato più dignitoso da parte sua continuare a nascondersi e rimanere in silenzio come ha fatto in tutti questi anni, mi creda.”

Tutto questo ho detto a quel medico, quella mattina, lì accasciata sull’angolo della cucina di casa mia, dopo avergli subito chiuso il telefono in faccia.

rosa rossa coi petali caduti sulla tastiera di un vecchio pianoforte

Spesso la vita fa così, proprio quando meno te lo aspetti e non ci pensi più, quando credi di esserti anestetizzato da quel dolore se non addirittura guarito… proprio allora ti mette davanti quei mostri che ti hanno avvelenato il cuore e lasciato cicatrici che non spariranno mai più.
In quel momento vorresti affrontarli, aggredirli, farli soffrire fino ad ucciderli… o vorresti ignorarli, fuggire lontano, cancellarli dalla tua mente, lasciarli alle loro miserie e ad una giustizia che non sia la tua.

Io ho scelto di richiudere ancora una volta questo squarcio nella mia vita e… col tempo ed a fatica, tornare a dimenticare.
Mio marito? Non so cosa farà, ma la sua inquietudine non credo lo lascerà provare a dimenticare ancora una volta.

Non c’è un modo giusto o un modo migliore di un altro per affrontare i propri mostri: ciò che conta è guardarsi davvero dentro e chiedersi cosa può darti la pace che meriti. Ognuno di noi avrà una risposta diversa… accetta la tua e fai in modo che quei mostri non continuino più a farti del male, mai più.

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