È una serena giornata autunnale, il clima è quello che più adoro, né troppo caldo né troppo freddo e mi viene proprio voglia di tornare a casa da lavoro a piedi. Percorro un viale pedonale cercando di rilassarmi e godermi il fine giornata; approfitto anche per rispondere ad alcune note vocali rimaste in sospeso da ore. Ai passanti che incrocio lungo il tragitto non faccio molto caso, ma uno attira per un attimo il mio sguardo.
È un ragazzo sulla trentina, che passeggia da solo nella sua sedia a rotelle, in direzione opposta alla mia. Sento un veloce ma nitido senso di tristezza per questa scena, perché se la disabilità di frequente fa parte della fase finale della vita, vederla in un ragazzo non è mai facile da accettare. Proseguo il tragitto dedicandomi ancora ai miei messaggi, quando di lì a poco mi sento chiamare da dietro. <<Scusa, mi fai un favore?>>
Era proprio lui.
Ed io <<Certo, se posso.>>

Help me
<<Mi è caduto il cellulare a fianco della carrozzina, potresti riprendermelo?>>
Guardo bene: il cellulare è incastonato in un supporto che lo aggancia alla carrozzina con un moschettone, in modo che non possa mai cadere a terra. Però penzola in un punto scomodo e sfuggente, di lato a una ruota, un punto che evidentemente il ragazzo non riesce a raggiungere. Lo sollevo da lì e faccio per dirglielo in mano. Il ragazzo, invece, mi dice: <<appoggialo pure su questa gamba>>. Resto sorpresa e mi interrogo silenziosamente sul perché, ma presto mi accorgo che non è in grado di muovere una mano.
<<Grazie tante>>, mi dice. <<Di nulla>>, rispondo; e riprendiamo ognuno la propria strada.
Un episodio banale? Forse, ma non troppo.
Un incontro, mille emozioni
Mi ha sorpresa essere interpellata da lui, ma presto ho sentito di non potermi tirare indietro. Ero responsabile del suo piccolo spicchietto di gioia del momento e la reazione alla sua richiesta avrebbe fatto la differenza. Non avevo motivi di diffidare di lui, l’ho sentito da subito. Lui che era in una posizione fisicamente svantaggiata rispetto a chiunque altro, ha provocato semmai in me un’urgenza spontanea di aiutarlo senza esitare. E sai perché? Perché al suo posto, un aiuto incondizionato è proprio ciò che anche io avrei più sperato.
Felice di questo inaspettato incontro, ho continuato il mio tragitto con tante sensazioni nel cuore, che andavano via via trasformandosi in pensieri razionali e domande.

Quanta fiducia?
Una domanda su tutte mi frullava in testa.
Quanto smisurata è la mole di fiducia che chi convive con un limite fisico deve porre su persone a lui totalmente sconosciute?
Onestamente non so se la solitudine di quel ragazzo a spasso fosse voluta o obbligata: senz’altro so che la condizione di disabile generalmente non avvicina le persone, piuttosto spesso spaventa ed istiga l’allontanamento, se non l’ostilità.
Nella mia mente, ho voluto lasciarmi aperto il dubbio: quel ragazzo era a passeggio da solo per scelta, o forse invece perché non aveva alternativa?
Resta il fatto che quando il tuo corpo pone limiti significativi alla tua libertà, o ti rassegni a quel che puoi avere, oppure devi rischiare e fidarti di chi può starti accanto in quella situazione. Bella scelta, eh?
È proprio la scelta obbligata di questo ragazzo, che si è dovuto per forza fidare di me (o di chiunque fosse stato casualmente al mio posto in quel frangente), ad avermi fatto riflettere su quanto noi normodotati diamo per scontata la libertà che abbiamo. La diamo così tanto per scontata che appena ci viene sfiorata, fosse anche in situazioni banali e leggere, scattiamo con la nostra rabbia ed il nostro disappunto sproporzionati.
Se affidiamo un piccolo compito a qualcuno, ad esempio chiedendogli un aiuto nel quotidiano, lo facciamo perché liberamente abbiamo scelto quella persona come degna della nostra fiducia. Eppure, se la fiducia viene tradita, fosse anche per un libro prestato e mai più riavuto indietro, ci sentiamo amareggiati ed alterati.

Chi si trova nella condizione di disabilità fisica ed ancor più chi vive quella intellettiva, quasi mai può scegliersi le persone con cui relazionarsi; di conseguenza, diventa facilmente vittima dell’approfitto e dell’inganno altrui, per via della sua possibilità di reazione forzatamente limitata. Non è qualcosa che, solo a pensarci, disorienta?
Quindi? Grazie!
Mi sono sentita proprio rattristata, quel giorno: ho provato, seppur per un breve momento, empatia verso un ragazzo che deve convivere con enormi limiti, fisici e della sua libertà quotidiana. Certi incontri non possono lasciarti indifferente e se ti poni in ascolto delle sensazioni che ne nascono, sapranno lasciarti tanto.
Tu come me riflettici, quando ti verrà da lamentarti per ciò che non puoi fare, per ciò che non puoi chiedere, per ciò che manca. Puoi cercare di sostituire quella lamentela con la gratitudine per tutto ciò che, troppo di fretta e in superficie, dai per scontato della tua vita.
Ciao Romina. Ciao “per mano insieme”…
Penso che ognuno di noi abbiamo degli “handicap” da sostenere nella propria vita.
Sentirsi tristi per chi con-vive con disabilità fisica, non aiuta chi, nel racconto, si trova di fronte a quel ragazzo in sedia.
Sorridere invece potrebbe portare in lui, un piccolo cambiamento del giorno, dove rimarrà più leggero, anche se per pochi secondi, ma gli renderà quel momento “magico”.
Seguo sempre i vostri link, vi abbraccio e vi saluto.
Sara Bolognini
Ciao Sara, sono Lucia, ti ringrazio per il tuo commento e per la tua fedeltà nel leggerci! Il sorriso genera speranza in tante situazioni e dona quella luce nuova anche nel più buio dei momenti. Chi ha la forza di sorridere ha senz’altro un valore aggiunto, tanto raro quanto carico di forza, tantopiù per chi vive una condizione di fragilità..
Grazie ancora per la tua riflessione e a presto! Lucia