Quante volte ti sarai rivolto ad un professionista, con un problema importante tra le mani ed il bisogno di consegnarglielo, perché lo comprenda meglio di te, lo alleggerisca nel suo essere greve e ti accompagni verso la miglior soluzione possibile?
Quante volte gli avrai addirittura messo in mano la tua vita, quella di una persona che ami, o il tuo futuro… perché fosse diverso da quello che ti si prospettava?
E quante volte ti sarai sentito davvero al sicuro, con davanti lo spiraglio della speranza verso una nuova meta, anche se con un percorso tortuoso ed in salita sì… ma possibile?
Poche, pochissime volte, almeno io.
Sempre più spesso trovo professionisti che si arrendono di fronte ad una diagnosi ed al suo prevedibile decorso: le strade da percorrere sono “le solite”, senza chissà quali nuove tecniche o approcci da tentare, senza troppe aspettative se non quelle legate alla sterile legge delle probabilità.
Tu leggi di continue scoperte, passi avanti nella conoscenza medica, comportamentale e sociale… ma per te nessuna di queste porte è mai accessibile.
Ti si chiede allora di fare solo una cosa: accettare le cose così come sono, non guardare troppo al futuro e pensare a coltivare il tuo orticello… anche se si fa sempre più minuscolo e arido, anche se sai bene che non ti basterà per vivere.
Ma ogni volta la mia mente recalcitrante non può fare a meno di mettermi davanti alla stessa domanda ed i suoi tormenti: è davvero il momento di arrendersi o è il momento di fare ancora un passo in più?

La vita…
Ho dovuto lavorare molto su me stessa, lo ammetto, ma alla fine sono riuscita ad accettare la malattia metabolica di mio figlio: ne ho fatto, insieme a mio marito, la base di partenza di quella che è diventata la nostra vita, dedicata a far sì che Giuliano abbia le migliori cure e la vita più serena, felice e lunga possibile.
Anche l’autismo col tempo è diventato parte quasi naturale del nostro vivere: una neuro diversità che abbiamo dovuto imparare a conoscere e gestire, studiando ed imparando il più possibile, per cercare di rendere la nostra vita piena e densa, nonostante l’enorme divario da ogni nostro immaginario.
Non ho mai mollato un attimo nonostante le cadute e gli arresti, ma ho sempre abbracciato ogni occasione che potesse migliorare la nostra condizione… in una battaglia contro la morte, anche sociale, che non ha mai fine.

Un problema dopo l’altro…
Gli anni passano, ed i problemi si fanno continui: uno dopo l’altro, accavallandosi, proprio come se la vita lo facesse di proposito per non darti il tempo di respirare, così che tu non abbia modo di riprendere fiato ed energie… spingendoti ogni giorno di più verso la resa.
Ma se sei abituato a lottare, non ci stai.
Di fronte all’ennesimo “non si può fare, è così, non c’è soluzione” qualcosa dentro te si ribella con violenza, spingendoti a bussare ad altre porte, una dopo l’altra, alla ricerca di quella strada che tu non hai ancora trovato ma che sei certo che esista… che speri che esista… che hai bisogno che esista, per non cedere alla rassegnazione.
A volte però è necessario fermarsi un attimo prima di impazzire nella ricerca frenetica ed asfissiante di ciò che, magari, non esiste realmente.
Il punto è proprio questo: qual è davvero il momento di arrendersi, deporre le armi, sedersi e piangere ogni lacrima dentro, per abbracciare la fragile ed illusoria pace della resa? Quando puoi davvero dire di aver combattuto ogni battaglia possibile? Qual è davvero il momento di passare dalla reazione all’accettazione?

La soluzione…
Una risposta io non ce l’ho… e forse non c’è.
Per quanto mi riguarda, difficilmente riesco a dire “basta”: non per il mero rifiuto di accettare ciò che non posso cambiare, ma perché credo fortemente nelle energie e sinergie tra professionisti, nella scienza, nel progresso, che non può essere capace, da un lato, di creare la vita stessa in laboratorio e, dall’altro, essere così limitato e limitante di fronte ai problemi umani e quotidiani.
Ed allora di fronte ad un “no” non mi accontento: studio, ricerco, metto a confronto informazioni e professionisti, e posso accettare questo stop solo se motivato e confermato… fino al prossimo barlume di speranza, fino alla prossima occasione che avrò di riprendere l’ascia in mano e lottare ancora per farmi strada nella giungla della scienza e della conoscenza.

Il buon combattimento
Questo mio modo di essere e di affrontare la vita non mi rende, invero, una persona tranquilla: mi pone, al contrario, in continua discussione e lotta estenuante anche con me stessa.
Ma se da un lato questo è il mio tormento, dall’altro è l’unica via per raggiungere quella serenità intellettuale di dirmi di aver fatto tutto ciò che è nelle mie possibilità.
“Il buon combattimento è quello che viene intrapreso perché il nostro cuore lo richiede” (P. Cohelo.)… e forse la risposta è proprio qui.
Forse solo nel momento in cui ti fermi e riesci a dirti allo specchio che hai fatto tutto quello che potevi, quando questo pensiero ti dà un po’ di pace, nonostante il dolore e l’incertezza di un domani che non puoi cambiare… forse solo allora potrai sentire davvero che è arrivato il momento di accettare ciò che non puoi cambiare, vivendolo con serena consapevolezza.
Non si tratta di una resa, ma di una lotta che continua incessante anche quando, a volte, è necessario fermarsi ed andare avanti puntando solo su ciò che si ha, imparando a trarre il meglio dalla vita giorno dopo giorno… con il sorriso nel cuore e senza mollare mai.