<<Non lo sento da un bel po’, quel mio amico disabile, ma anche oggi decido di non chiamarlo.. so che è molto vulnerabile e non vorrei creare subbuglio nella sua giornata.>>
<<Quella famiglia ha un grande bisogno di aiuto, ma sono miei vicini da poco e finora non gli ho offerto il mio, mi pareva di invadere e mancare di rispetto..>>
<<La mia amica ha un figlio balbuziente, ma nega la cosa ed evita di parlarne; io provo disagio per questo, ma per rispettare le sue remore, evito il discorso. >>
<<Mio fratello sta facendo una scelta lavorativa scellerata. Ho provato a farglielo capire, ma lui si offende ad ogni minima critica e così, per rispetto, lo lascio fare, senza interferire.>>
Quante volte abbiamo pronunciato una di queste frasi!
Eppure..siamo sicuri di aver dato la giusta interpretazione all’idea di rispetto degli altri?
Sempre più distanti
Al di là delle apparenze, è evidente che la società di oggi sia sempre più vittima di un diradamento delle maglie che uniscono i rapporti sociali. Molto spesso, è più facile nutrire il nostro ego che le relazioni con gli altri, quantomeno perché si conosce meglio se stessi più di quanto si conosca a fondo l’altro. Si crea così una grande distanza tra le persone, perfino quelle legate da rapporti forti. È come se il recinto che definisce il raggio d’azione individuale si allargasse così tanto, che chi vi si trova dentro fatica a vedere quello dell’altro, tanta è la distanza a cui si trova. Ma chi decide queste distanze? Sono davvero l’unica scelta?

Resto in me stesso, tra paure e remore
Il mio carattere è sempre stato empatico e tendenzialmente espansivo: offrire un sorriso, una chiacchiera e l’ascolto dei racconti altrui è qualcosa che faccio in modo molto naturale. Mi capita spesso però che chi ho di fronte eviti in tutti i modi di esporsi, anche su argomenti banali e quotidiani, come a dire: <<Ok, parliamo del più e del meno, ma non andiamo a toccare le vicende personali!>>
In questo caso, io non ho altra scelta che limitarmi nei discorsi e nel grado di confidenza.
Ci sono situazioni, però, in cui reagisco meno di istinto e piuttosto che approcciarmi apertamente al dialogo, mi adeguo alla riservatezza delle persone che ho accanto. Altre volte ancora, in quei periodi di umore preoccupato e cupo, reagisco chiudendomi all’altro come per difesa e divento proprio io quella che pone un distacco. Lo faccio perché magari affrontare certi temi mi impone di mostrare le mie criticità o i miei errori scoperti troppo tardi. E tutto questo fa paura. Tutto questo costa un’enorme fatica, da cui talvolta -istintivamente- rifuggo. Sì, perché anche quando ad aprirsi è l’altro, svelarsi almeno a se stessi è inevitabile. Così a volte preferisco stare sul vago: la mia vita resta solo mia e la tua vita resta solo tua; niente commistioni, nessun paragone… ci faremo bastare i convenevoli.
Talvolta vivo questa chiusura anche quando, pur accorgendomi che l’altro apprezzerebbe il mio aiuto o la mia vicinanza, preferisco evitarlo per non essere invadente o inopportuna. Sarà capitato anche a te di frenarti e preferire una prudente reticenza.

Questo mio arresto mi fa chiedere: <<Dove si colloca il confine tra reale rispetto della libertà dell’altro e l’egoismo? >>
La linea è molto sottile e quella sensazione di dubbio e disagio fa chiedersi: <<Sarò troppo invadente? O faccio bene ad offrirgli quella presenza che ormai in pochi danno?>>
Io e l’altro, fragilità comuni
A ben guardare, fragili lo siamo un po’ tutti. Siamo tutti un po’ soli e quasi mai per scelta. Siamo spesso bisognosi di ascolto, di quello profondo, che produce i frutti migliori.
E allora come fare? Di fronte all’altro, pur con un tatto adeguato al grado di confidenza, penso che dovremmo sciogliere i freni, metterci noi stessi, cercare un terreno comune nutrito da empatia e vicinanza, tendere la mano.

Le volte in cui ci ho provato, di fatto, non mi sono mai sentita allontanare: tutt’altro.
Ecco, nella vita quotidiana che spesso ci stringe in una morsa di frenesia e individualismo, e ci porta non rischiare invadenze, scaldiamoci invece il cuore a vicenda, gettiamo via le zavorre della paura o dell’imbarazzo, tendiamo la mano all’altro, anche nei gesti più semplici. Si tratta di accettare una sfida con noi stessi, quella sfida che porta a superare il confine individuale e raggiungere il territorio dell’altro per coltivarvi scelte comuni. Perché di fronte a noi spesso c’è qualcuno che non aspetta altro che un sorriso, un incontro di cuori, una parola affettuosa, un piccolo aiuto che lascia però un segno grande. Semplicemente…pensaci!