<<Sei sua madre, devi fare solo la mamma!>> …Quante volte me lo sono sentito dire in questi anni!
Un’affermazione, questa, spesso fatta da professionisti, medici, insegnanti, terapisti… che anche quando sottende una motivazione benevola nei riguardi della famiglia, a mio parere è inaccettabile da dire e sentirsi dire!

Corsi e ricorsi

Trovo che questa frase rappresenti la nostra società che, se da un lato ti accusa, dall’altro ti assolve, in un circolo vizioso di ruoli dentro il quale, alla fine, nessuno è più in grado di prendersi le sue responsabilità.

Una società, la nostra, che se da un lato vuole la famiglia ai margini di un sistema educativo complesso ed istituzionalizzato, dall’altro le rimprovera di aver rinunciato al ruolo di educare, correggere ed  insegnare ai propri figli.
E questo si accentua se tuo figlio ha una qualche disabilità, patologia o non rientra, in qualche modo, nel “range prestazionale” medio, per cui necessita di un aiuto, educativo, cognitivo o comportamentale che sia.

In questo contesto, come si può accettare di sentirsi dire che <<La mamma deve fare solo la mamma?>>

una donna abbraccia una ragazzina avvolgendola dentro il suo mantello

Perché cosa fa una mamma?

Mio figlio Giuliano ha una malattia metabolica rara, ha una diagnosi di autismo secondario, comunica ma non è vocale, ha una grave compromissione cognitiva: è praticamente circondato da professionisti, educatori, terapisti, insegnanti di sostegno, medici.

La mia è una situazione particolarmente complessa, è vero, in cui il mio ruolo non potrà mai essere marginale, se non altro per mantenere letteralmente in vita mio figlio. Ma le stesse mie riflessioni, seppur fondate su circostanze diverse, non possono che riferirsi ad ogni madre, proprio perché essere genitore non può mai voler dire solo accudimento!

Un genitore deve essere il primo educatore del proprio figlio, il suo insegnante più bravo, colui che lo accompagna verso l’autonomia e l’età adulta… giorno dopo giorno, apprendimento dopo apprendimento.
Diversamente, cosa dovrebbe fare un genitore?

immagine fumetto di una mamma anni quaranta che cucina
(Foto di Oberholster Venita da Pixabay)

Essere genitori: cosa vuol dire per te?

Davvero essere genitore significa solo avere “figliato”?

Chiedendo ad un genitore di “fare solo la mamma” o “il papà”, gli si chiede implicitamente di limitare il proprio ruolo al mero assistenzialismo!
Questo può essere comodo per alcuni… ma offensivo per altri, per tutti coloro che hanno scelto consapevolmente e responsabilmente questo ruolo e che lo vivono a pieno, me compresa!

Se tu, padre o madre, non impari a conoscere profondamente tuo figlio, non fai lo sforzo di alzarti dal divano per parlarci, per giocarci, per costruire qualcosa insieme… se non gli siedi accanto per aiutarlo nei compiti, con pazienza e rigore insieme… se non hai voglia di dettare le regole di casa e di farle rispettare, ma lasci che un “no” diventi un “sì” purché tu possa restartene in pace dopo una giornata di lavoro… se non lo educhi ai valori, al rispetto, alla verità… se non sei tu per primo il suo professore, il suo medico, il suo terapista, il suo coach, il suo aiutante, il suo esempio di vita, impegno, amore e rispetto dei valori… se non decidi di essere tutto questo per tuo figlio, perché hai scelto di metterlo al mondo? Prova a chiederti se riesci ad essere, per tuo figlio, qualcosa in più di quello che sei stato fino ad ora.

una bambina gioca con i mattoni colorati

Quando un professionista ti dice:<Lei deve fare la mamma, i terapisti siamo noi>

Ecco, quando trovi un professionista che ti dice così… scappa o litigaci!

Ogni volta che un medico ti coinvolge nelle procedure sanitarie necessarie a tuo figlio, significa che ha ben chiaro quale sia il ruolo genitoriale nello sviluppo, nella diagnosi e persino nella cura di una patologia. E devo dire che questo, in ambito medico capita spesso, soprattutto di fronte a patologie importanti come quella di mio figlio.

Questo, invece, non accade quasi mai quando si parla di riabilitazione fisica o cognitiva… come mai?

C’è chi pronuncia questa frase per assolvere un genitore che non ce la fa.
Che poi anche questa frase, che senso può avere di fronte ad un figlio che non ha chiesto di venire al mondo con un handicap?

Ad ogni modo, moltissimi sono i genitori che, di fronte ai limiti del proprio figlio, si lasciano andare e, invece di essere per lui la prima spalla su cui contare, spesso diventano i suoi primi ostacoli nella vita.
Quanti genitori, in queste circostanze, si piangono addosso, diventando essi stessi le vittime di una vita “troppo difficile”, in cui il figlio si trasforma da vittima reale a carnefice di un’intera famiglia.

Persone, queste, che purtroppo godono sempre di più della comprensione e dell’empatia degli altri, i quali anche inconsapevolmente fomentano un atteggiamento assolutorio verso il genitore ed accusatorio verso il figlio… un figlio che, in questa storia, è invece la reale vittima non solo di una vita sfortunata che non ha scelto, ma anche di una famiglia che non riesce ad amarlo per quello che è ma che, al contrario, spesso lo accusa delle proprie sofferenze.

Non ti piace questo lato della medaglia, lo so… ma è la realtà, ed è arrivato il momento di guardarla bene in faccia se vuoi schierarti dalla parte giusta!

una donna di spalle guarda la città di notte piena di luci dalla finestra

Il peggior professionista

Ma il peggiore è il professionista che ti invita “a fare solo la mamma” con l’intento di metterti da parte durante lo svolgimento delle terapie: questi sono gli pseudo professionisti che, soli, si dicono di saper cosa fare, come e quando.

Questi, di solito, non ti fanno mica partecipare alle terapie: come ci pensi! Lavorano da soli con tuo figlio, e se con loro lui fa progressi, tu non riesci né a vederli né ad applicarli una volta tornati a casa.
Se ti sei trovato in questa situazione, ti sei mai chiesto perché?

Perché un professionista vuole metterti da parte? Perché con lui tuo figlio è bravissimo mentre a casa tu non sai come rapportarti con lui senza provocare crisi di rabbia, violenza o fughe continue?

Ma soprattutto, perché tu da genitore non hai il diritto di imparare come trattare tuo figlio, come educarlo ed essere parte attiva dei suoi apprendimenti, come essere il protagonista dei suoi successi, collaborando con il terapista?
Perché invece ti si chiede di farti da parte?

Per incompetenza? O per saccenza?

nella campagna assolata in uina strada tra il grano, una donna e un ragazzo di spalle camminano mano nella mano

La mia scelta

Noto sempre più spesso genitori che delegano il ruolo di educatore e terapista del proprio figlio agli altri, per poi ritrovarsi con un figlio col quale non si è in grado di comunicare, di mettere in pratica gli apprendimenti acquisiti durante le terapie… genitori che non sono in grado di andare al ristorante col proprio figlio senza essere additati da tutti, che non sanno da che parte iniziare per aiutarlo nella autonomie, nel controllo comportamentale, nell’educazione, nella vita sociale e relazionale.

Ecco, questo è il frutto del <io devo fare solo la mamma e il papà, non il terapista di mio figlio!>.
Sei sicuro che è questo quello che vuoi? Sei sicuro che sia questa la scelta migliore?

Io sono la madre di mio figlio, la sua badante, la sua dispensatrice di baci e coccole, la sua parrucchiera, la sua infermiera, la sua compagna di giochi, la sua fisioterapista, la sua insegnante, la sua terapista Aba.
Grazie ad un lavoro svolto da noi genitori in collaborazione con i terapisti, mio figlio ci regala continui progressi che mantiene sia a casa che in altri contesti. Ed in questo spirito di collaborazione e confronto quotidiano, io ho acquisito conoscenze, sicurezza e controllo su mio figlio.

I terapisti stanno con tuo figlio qualche ora a settimana, mentre tu vivi e ti relazioni con lui molto più tempo: se non sei parte integrante del suo team di professionisti, come puoi non essere in balia dei suoi umori e dei suoi capricci?
O sei tra coloro che aspettano di poter lasciare il proprio figlio a scuola, dai nonni, a terapia, dagli educatori, ovunque pur di “respirare” qualche ora libera, lontano dai suoi problemi comportamentali, che tu non sai gestire?

E allora, perché non rimboccarsi le maniche ed imparare a gestirli?

A me piace pensarmi con la mia famiglia libera di vivere, sperimentare, andare… anche quando la vita e la malattia di mio figlio ci mettono di fronte a mille divieti. Ma mai un “no” dovrà venire, se non dal mio massimo sforzo… di prendermi cura di lui, educarlo, gestirlo, istruirlo, insegnargli, controllarlo e… amarlo.

Immagine di copertina: foto di Dmitriy Gutarev da Pixabay

Condividi: