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Disabile…a chi?

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Avatar Lucia
Rappresentazioni di mani che cercano o offrono un contatto

Io e la disabilità. Un rapporto affatto roseo, che da ragazzina mi ha lasciata spesso in una posizione di disagio e sospetto. Di fronte alla presenza della disabilità, che riguardasse un compagno di classe, un parente anziano o un vicino di casa, difficilmente mi sono trovata del tutto a mio agio, appesantita da quel senso di stranezza che prevaleva su tutto.

Fino a che, da adulta qualcosa è cambiato…

Un incontro che avvicina

La vita mi ha dato una preziosa occasione per vivere la disabilità molto più da vicino, come realtà concreta. Conoscere Romina e suo figlio Giuliano nella loro quotidianità, ha significato partire dai rapidi ma cordiali incontri lungo il corridoio della scuola che lui condivideva con mia figlia Alice per arrivare ai successivi caffè che io e Romina, accomunate dall’essere mamme e curiose di approfondire la reciproca conoscenza, abbiamo trasformato in occasioni per avvicinare sempre più il mondo dell’una a quello dell’altra. La spontaneità e l’apertura alla vita con cui Romina si è presentata a me, senza autocommiserazione o quel sentirsi dire velatamente e costantemente “beata te che non hai i miei problemi”, mi ha subito incuriosita e ben disposta a conoscere il loro mondo. Un mondo fatto di sfide quotidiane e tanto impegnative, affrontate però con la palese voglia di sorridere alla vita e non arrendersi mai nonostante la fatica e le paure che inevitabilmente incombono. Un mondo che esprime a gran voce quella speranza per una vita serena del proprio figlio, che vale più di ogni altra cosa.

In punta dei piedi, passo dopo passo

I primi approcci che io ed Alice abbiamo avuto con Giuliano sono stati in punta dei piedi, ovviamente caratterizzati da quell’imbarazzo di chi non conosce i modi di agire dell’altro e chi fatica ad entrare in confidenza nell’immediato. Il modo diverso di relazionarsi agli altri che Giuliano per condizione esprime, generava in noi diffidenza e costante paura di non reagire nel modo “giusto” per lui. D’altro canto, Giuliano presenta un aspetto fisico che non palesa la disabilità e questo ci ha avvicinati più facilmente; ma appunto la sua maniera speciale e non verbale di comunicare ha reso delicato il contatto profondo con lui e con il suo mondo. Poi il tempo ha reso gli incontri abbastanza sereni e spontanei: prevaleva la volontà reciproca di superare le differenze e ritrovarsi nei punti comuni e l’attenzione di noi adulti a non forzare la naturalezza di loro bambini è stata di grande aiuto. Per la prima volta ho sentito che avere un disabile vicino non mi metteva a disagio, non mi generava paura, ma anzi mi apriva il cuore ad un affetto sincero e spontaneo, perché se tanto c’era di diverso tra Giuliano e Alice, altrettanto avevano in comune i due bambini, primo tra tutti il diritto di essere accolti e rispettati nella loro meravigliosa unicità!

Tessere del domino, unite nella loro parte più somigliante

Siamo forse tutti disabili?

Successivamente mi sono allora resa conto di quanto erroneamente pensiamo alla disabilità come a qualcosa di estremamente eccezionale, problematico, difficile da gestire e lontano dalla cosiddetta normalità. Quale normalità, poi? Forse quella che abbiamo in testa è una normalità fittizia, che usiamo per distinguere i “noi comuni” dai “loro disabili” come consolatoria struttura mentale che servirebbe a convincerci di poter essere per sempre sani, fisicamente perfetti e funzionanti, inattaccabili dal tempo e da eventi infausti per sempre. Ma se ci guardiamo intorno e consideriamo la disabilità come l’incapacità di incarnare questo ideale di totale perfezione fisica o intellettiva, sono sicura che a rientrare nella definizione di disabile saranno (o saremo) in tanti, tantissimi.  Non voglio assolutamente assimilare piccoli disturbi mentali o piccole malformazioni fisiche a tipologie di disabilità molto più gravi, ma riconosco che se consideriamo realmente quel “noi” che ci fa schierare tra gli intoccabili dalla malattia, esso diventa sempre più ridotto. Per non parlare del fatto che il naturale corso della vita, quello che conduce auguratamente alla fase della vecchiaia, costituisce esso stesso un sicuro accesso alla sfera della disabilità. E allora, da anziani, quando saremo noi a non essere del tutto abili in qualcosa, saremo capaci di vedere l’inabilità come condizione naturale e possibile? Credo che sia giunto il momento che questa società comprenda quanto limitata sia la visione perfezionista dell’essere umano che enfatizza maniacalmente il suo assoluto funzionamento e distoglie dalla sua natura imperfetta.