Hai presente l’immagine di quelle pubblicità di shampoo per bambini che vantano la dicitura “non più lacrime”, caratteristica che evita che la schiuma, scivolando fino agli occhi, faccia piangere disperato il povero bambino sotto la doccia? Il must del prodotto: evitare che il bambino pianga! Questo è anche ciò che capita spesso a noi genitori? Evitare il pianto dei nostri figli ad ogni costo e se proprio esso arriva, scansarlo con tutte le forze?
Da madre, l’intolleranza al pianto
Lo ammetto, di base nasco come “mamma intollerante al pianto”: sia le fastidiose coliche dei primi mesi che il successivo reflusso gastrico, hanno fatto sì che i primi anni di vita di Alice fossero coronati dalla spiacevole colonna sonora del pianto. Pianto che spesso era inconsolabile, perché causato da disagi fisici su cui né io né i medicinali potevamo far molto e che quindi non restava che affrontare proponendole distrazioni tramite qualche gioco o video che la distogliesse almeno un po’ dal disturbo. La sovrabbondanza del pianto di Alice ha generato in me, in quegli anni, una sorta di istinto a voler prevenire ed evitare qualsiasi altra ragione – anche oggettivamente giusta – che potesse farla piangere. Così ogni capitombolo, piccolo e quotidiano, veniva consolato come se fosse accaduta chissà quale tragedia e soprattutto ogni richiesta di Alice veniva spesso soddisfatta con l’inconscio obiettivo di non farla sentire frustrata e appunto non farla iniziare a piangere.

La scoperta del valore del pianto
Ci ho messo almeno 4 anni a scrollarmi di dosso questi atteggiamenti e oggi che Alice ne ha 8 posso dire di non essere più “uditivamente allergica” al suo pianto e anzi di aver capito quanto esso conti in certi contesti. Ho capito anzitutto che piangere equivale a comunicare un’emozione e già solo per questo vale la pena accoglierlo! Ogni bambino reagisce a situazioni di paura, sofferenza, noia, rabbia o delusione in maniera diversa: c’è chi si chiude in sé stesso (e magari in cameretta), chi si sfoga fisicamente con urla e calci, chi fa finta di nulla ma in realtà nasconde un cruccio interiore, chi ne parla magari solo con l’amico immaginario e ovviamente…chi sfoga le sue sensazioni negative con un bel pianto! Alice quando lo fa? Soprattutto nei suoi impeti più istintivi: quando non riceve le attenzioni che desidera, o quando un imprevisto rovina i suoi piani, o quando sente la nostalgia di un familiare che non è con lei in quel momento; piange quando vive la paura del distacco o quando una musica o una scena suggestiva le incutono spavento.
Ho capito il valore del pianto soprattutto quando ho osservato quante persone intorno ad Alice fossero ossessionate dalla soggezione nel vederla piangere e accorressero così prontamente in aiuto delle sue frustrazioni da farle quasi dimenticare questo tipo di esperienza. So che la parola frustrazione può sembrare esagerata per una bambina di 8 anni, ma le esigenze e le situazioni sono spesso così complesse che basta poco per provarla a tutti gli effetti: una richiesta che non trova ascolto reale, un obiettivo da raggiungere che sembra però troppo grande rispetto alle capacità, un desiderio che di fatto non c’è modo di realizzare. Tantissime situazioni, che rispecchiano di fatto la vita reale che il futuro regalerà ai bambini: quella fatta di opportunità, divertimento, sogni realizzati, ma anche di difficoltà, rinunce e piccoli o grandi sacrifici.
Ho accettato e persino apprezzato il pianto di Alice quando ho davvero capito che ad ogni lacrima corrispondeva una possibilità di crescita; perché non c’è crescita, a mio avviso, se non affrontando sin da piccoli tutte le sfaccettature della vita, ostacoli compresi, senza raccontarsi favole edulcoranti che poi da grandi renderanno impossibile gestire anche il minimo inghippo!

Lacrime preziose
Osservo la società di oggi e onestamente mi rattrista l’ossessione con cui molti bambini vengono cresciuti “sorridenti e infiocchettati” a tutti i costi: gli adulti intorno a loro tendono a non accettare i momenti critici, i sentimenti negativi, i possibili fallimenti o frustrazioni che essi inevitabilmente sperimentano, con la convinzione che in assenza di passaggi ripidi, la vita sia sinonimo di vera felicità. La tentazione di scegliere questa strada comoda anche per Alice c’è stata inizialmente, ma la mia scelta è quella di percorrere l’altra via, senz’altro più faticosa ma che a lungo termine ripaga. Una via fatta di accettazione e accoglienza del pianto, fatta di tempo calmo, in cui ogni sentimento possa esprimersi del tutto, fatta di attenzione a due errori: sminuire il pianto con il classico “dai, che non è successo nulla di grave” o al contrario aggravarlo più di quanto esso valga realmente. L’ultimo e più faticoso passo in questo percorso è poi quello di trasformare il pianto in opportunità di crescita: a questa età si può ormai parlare, capire, ipotizzare, sperare e costruire insieme tantissimo! Per questo cerco ogni giorno di fare il mio massimo e sogno che mia figlia riponga in me la sua fiducia, sentendosi libera di offrirmi i suoi pianti come si offre il manico di un borsone pesante a chi ti sta a fianco: sapendo che in due il peso si dimezza, la strada da percorrere è meno stancante e la soluzione, in fondo al percorso, c’è sempre!