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Come aquile, contro il bull-ismo

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Avatar Lucia
Foto di un'aquila in volo con le ali spiegate

Risuona ormai da diversi anni il termine bullismo, purtroppo nominato dalle cronache quotidiane sia televisive sia dirette, ma solo qualche giorno fa ho compreso l’esatta definizione del termine e del fenomeno sociale che sottende.

Avevo in mente un’idea vaga collegata ai concetti di prepotenza, prese in giro, ricatti, soprusi…, ma tra le tantissime possibilità di episodi, quali davvero rientrano nel concetto di bullismo?

Sono riuscita a scoprirlo meglio pochi giorni fa, partecipando ad uno stimolante incontro proprio su questo argomento e ripercorrendo il tema nei suoi aspetti principali.

Un animale difficile da contenere

Sì, è proprio così: il bullismo, quella parola che contiene non a caso il termine inglese “bull” (toro), ha a che fare con l’imponenza fisica ma soprattutto caratteriale di questo animale, la tendenza ad aggredire, il suo crescendo di voglia di prevaricare, non appena davanti ai suoi occhi qualcosa lo stimola a farlo. Il toro, come il bullo, ha poi caratteristiche che messe insieme fanno terrorizzare. Sono tanto rari quanto micidiali.

C’è un ulteriore aspetto che delinea il profilo del bullo. La tendenza a dimostrare maggior potere rispetto alle vittime cui si rivolge, nasconde quasi sempre una effettiva inferiorità di autostima o stabilità emotiva. I ruoli si invertono: io bullo mi sento più forte di voi, vittime, ma di base la mia forza deriva da punti deboli, manie di controllo di persone o cose, fragilità profonde, senso di inadeguatezza alla realtà.

Quale reazione? E quali conseguenze?

La definizione di bullismo è costituita da due elementi imprescindibili, entrambi indispensabili per denotare questo fenomeno con sicurezza:  l’episodio deve essere reiterato nel tempo e ripetuto per un periodo di almeno 2 o 3 mesi; esso deve poi implicare la non reazione della vittima.

Ebbene, proprio quest’ultimo punto fa la differenza sull’esito possibile della vicenda: a parità di iniziativa del bullo, la reazione della vittima scrive la pagina definitiva sull’epilogo della vicenda. Siamo a scuola, il bullo non vede l’ora di mostrare la sua predominanza e distinguibilità dalla massa. Si guarda intorno, sceglie una vittima, sulla base di una qualsiasi caratteristica che possa attribuirgli come diversa: l’aspetto fisico, la provenienza, il genere, il carattere, la disabilità. Aspetti non per forza di evidenza eclatante, ma strumentalizzati dal bullo come pretesto per il suo appiglio: ridicolizzare la vittima e, facendo leva nel gruppo quale vero carburante delle sue azioni, agire con violenza fisica o verbale contro di essa. Cosa accade in questo preciso momento? Chi circonda il bullo si trova di fronte a una scelta obbligata: fare il suo gioco, che è teoricamente sbagliato ma genera una sicurezza sociale per cui ci si schiera tra “i più forti”; oppure sottrarsi alla proposta del bullo, perché la violenza non è la scelta giusta…, ma questo fa inevitabilmente rischiare di passare in automatico alla schiera dei più deboli. Sì dico rischiare, perché non stare al gioco del bullo, in realtà, ha un altro fortissimo potere: nel tempo, rosicchia il podio di predominanza dell’aggressore, lo fa sentire solo ed isolato, finalmente lui ridicolizzato come bullo e diverso, e lentamente annienta il suo personaggio e lo riduce alla umana fragilità che di fondo lo denota.

Shame, vergogna

Fragilità

Ecco una parola cruciale che mi piace approfondire sotto due punti di vista. Il primo è quello che osserva la fragilità del bullo, la sua istintiva maniera prepotente di approcciarsi agli altri, che nasconde però insicurezze, possibili violenze subite, frustrazioni e debolezze. Visto così, il bullo ha tutto un altro aspetto direi!

Da un altro punto di vista, la fragilità emerge nelle vittime, che oggi possono essere chiunque e che il contesto socio-educativo attuale dipinge come persone molto sensibili, delicate, spesso incerte dei loro passi. La fragilità di chi vive la disabilità come condizione specifica della propria vita quotidiana è evidente. Sono convinta che ogni disabile abbia risorse (nascoste o espresse) che altri bambini non posseggono, ma di fronte a soprusi o forme di violenza, specialmente se messi in atto da un gruppo, i loro mezzi sono senz’altro insufficienti per difendersi, reagire e mettere in salvo la propria dignità ed esistenza.

Vietato tacere

Il bullismo non è qualcosa di lontano: ne troviamo esperienza nelle scuole dei nostri figli, anche piccoli, nei contesti sportivi o sociali dei loro pomeriggi o nelle dinamiche quotidiane con la cerchia di  amici. Serve riconoscerlo, serve saperne ammettere la presenza per poi reagire e darsi da fare. Ma come? Non possiamo mica noi essere al posto dei nostri figlie e difenderli da tutto e tutti come un grillo parlante che suggerisce le mosse da fare?! Questo no, ma nutrire un dialogo profondo ed un ascolto attento dei propri figli e delle persone che si muovono intorno alle loro vicende quotidiane, questo è possibile!

Opponiamoci al toro con l’argutezza di un’aquila, che da lontano osserva le situazioni e le studia nel minimo dettaglio, le riconosce per ciò che veramente sono e poi, avvicinandosi, accoglie chi è più fragile con un abbraccio tra le sue ali: un abbraccio fatto di rispetto, controllo benevolo, sostegno, consiglio, pazienza e premura. In breve, tutto ciò che i ragazzi di oggi si aspettano da noi adulti.