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La trama e l’ordito

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Avatar Lucia
Rappresentazione di un telaio con fili che si intrecciano per formare un tessuto, grazie al lavoro manuale

Tra gli aforismi più celebri visti nel web, questo mi ha colpita particolarmente: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”

Sono parole che stimolano la riflessione, domandandosi “quanto può esserci dietro ad uno sguardo neutro? Quali storie e sentimenti vi si celano?”

Penso che molti di noi potrebbero raccontare le tante volte in cui, di fronte all’altro, ci si limita ad un “come va?” “Tutto bene, grazie”, detto per convenzione o addirittura per non addentrarci l’uno nella vita dell’altro, come se farlo fosse inevitabilmente qualcosa di inopportuno e rischioso. Ma quante volte questo può bastare?

Frenesia: schiavitù o possibilità?

Le scelte importanti che ho fatto negli ultimi tempi, hanno fatto sì che da mamma a tempo pieno quale sono stata fino a qualche mese fa, sia diventata una mamma lavoratrice. La frenesia che quindi mi sono ritrovata a vivere, quella fretta che nei comunque numerosi impegni del passato riuscivo ad arginare, ora la vivo come un’imposizione alla quale spesso non riesco a sottrarmi. Nonostante questa nuova condizione, cerco ugualmente di ricavarmi degli spazi, magari piccoli ma intensi, dove il ritmo di ciò che vivo sia finalmente lento, profondo e fluido. Questi momenti corrispondono spesso all’abbandono del cellulare nella più recondita tasca della mia borsa e ad un sottofondo musicale scelto ad hoc, sicuro stimolo al mio relax.

L'immagine rappresenta una lumaca che cammina sopra delle fragole

Lo faccio però non solo per regalare tempo a me stessa, ma soprattutto per dare valore a quei rapporti con le persone che ho intorno, che altrimenti sarebbero trascurati per via della fretta e ridotti a semplici convenevoli e ad un banale tirare avanti ciascuno per la sua strada, senza che ci si fermi e incontri mai veramente. Due chiacchiere in più al supermercato, una domanda oltre il banale “come va?”, una telefonata o uno scambio di messaggi al posto di mezz’ora dedicata alla tv possono già essere l’inizio di un incontro che rende sostanzioso il rapporto tra me e gli altri.

L’ascolto autentico, oltre me stessa

Quello che dà veramente senso ad un contatto che unisce è questo saper andare oltre la superficialità, tentando soprattutto di entrare in empatia con chi ho davanti, senza cadere nella tentazione più grande: rivolgere ciò che vive l’altro a me stessa, incatenare il dialogo ad una banale auto-referenzialità, che non tiene conto del reale sentire dell’altro, ma tende magari a ridursi a tanti “sai, anche io… sai, anche a me…”. Cerco di non farlo, perché anzitutto mi infastidisce quando succede a me: parlando della mia storia personale, ritrovo spesso distrazione e reazioni svianti riferite all’esperienza dell’altro, e non una vera immersione nel mio personale.

A chi tocca fare il primo passo?

Conosco tante persone che dicono di non avere amicizie profonde o che in qualche modo si dicono felici di bastare a sé stessi, senza la necessità di intrecciare un rapporto profondo con gli altri. Sarà questione di carattere o di scelte dovute alla propria storia o al proprio passato, ma questo modo di vivere i rapporti non fa sicuramente per me. Mi sento fortemente attratta dalla bellezza dell’entrare in empatia con la storia e la vita dell’altro, come se da sola non mi bastassi e non mi sentissi completa. Perché il bisogno di relazione e condivisione è parte fondamentale del mio modo di essere. Proprio per questa ragione mi sono trovata spesso a fare io il primo passo, la prima chiamata, il primo gesto con l’altro, mettendo il primo mattone che costruisse quell’edificio che è il rapporto di conoscenza profonda e amicizia duratura. Ma quando mi fermo a riflettere sull’immagine che simboleggia veramente un rapporto tra due persone, mi viene piuttosto in mente un telaio, fatto da fili che come trama e ordito si intrecciano tra loro, tessendo un manto nuovo ed unico. Cosa succede se uno dei due fili non fa il suo percorso? Cosa succede, cioè, se a prendere l’iniziativa è sempre una soltanto delle due persone in causa?

Due mani uniscono altrettanti pezzi di un puzzle

Succede che il tessuto non si crea, l’intreccio non avviene e anche l‘altro filo perde il suo ruolo e significato.

Quante volte mi è capitato di dovere o volere arrestare le mie iniziative e trovarmi a riconoscere che dall’altra parte nessun filo era pronto ad intrecciarsi con il mio, ma solo capace di seguire il suo personale percorso individuale! Se siamo intenzionati a costruire rapporti sinceri e duraturi con chi abbiamo accanto, ciascuno di noi è chiamato a non stare sempre in attesa di un primo passo, ma fare il proprio in libertà e spontaneità, creando intrecci reciproci, fatti di dedizione e ascolto profondo. Un gesto di volontà concreta, per costruire manti pregiati ed unici!