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L’abito non fa il monaco… e neppure il disabile

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Avatar Romina
una bambina vestita da principessa in un bosco

L’apparenza inganna. L’apparenza è illusione. L’apparenza è superficialità e non ha valore.
Ma sei davvero capace di dirti estraneo e di non farti condizionare dall’apparenza?
Io credo di no… perché, volenti o nolenti, in questa società l’abito fa ancora il monaco.

La potenza dell’esteriorità

La diversa condizione di mio figlio mi costringe ogni giorno a rapportarmi con un mondo che ci impiega un minuto a mettere il disabile, o semplicemente il diverso, ai suoi margini.
Basta l’abito… e non sto scherzando.

Un bambino sorridente, sporco e coi pantaloni consumati è semplicemente un bimbo che ha giocato e che si è divertito. Ma se questo bambino è diversamente abile, diverso fisicamente o bizzarro nelle sue movenze, allora l’idea che ci arriva è quella di un bimbo trascurato.

E’ inaccettabile una simile equazione, eppure è così… puoi onestamente negarlo?

Per un disabile, ritenuto parte integrante ed arricchente della collettività, molto spesso oltre agli slogan perbenisti e compassionevoli di facciata, sai cosa c’è? Il nulla.
Calato il sipario del mostrarsi, purtroppo, sulla disabilità scende inesorabile il buio… che nasconde, che allontana, che rifiuta una condizione ed un modo di apparire diversi.

L’insostenibile cliché

Fosse toccato a me, a chi è capace di difendere il suo posto nella società con piena coscienza ed intelletto, mi sarei detta “poco male”. Ma questo è quello che capita a mio figlio, ai nostri familiari disabili, incapaci di difendersi, di farsi vedere o di imporsi agli altri senza dover urlare per non restare invisibili.
Ti puoi arrabbiare, indignare, fare le lotte più chiassose e svergognare pubblicamente questo modello di vita… ma poi? Cambierebbero le cose? Davvero il mondo si accorgerebbe di mio figlio?

E allora, mio malgrado, ho fatto una scelta: ho ingoiato il boccone amaro e le parole che avrei voluto dire e ho deciso di adeguarmi… senza arrendermi.

Sei madre di un bambino in qualche modo diverso?
Allora tuo figlio, pur nel suo essere solo un bambino, dovrà indossare sempre i suoi “abiti migliori”: mai sporco, mai con le toppe alle ginocchia, mai con una maglia più striminzita o più abbondante della sua taglia… perché se gli altri bambini possono permetterselo, tuo figlio no.

C’è da fare attenzione anche all’uotfit per non incorrere nel cliché del disabile che, nell’immaginario collettivo, lo si vuole in tuta da ginnastica e scarpe da tennis! Eppure, forse questo stereotipo nasconde una necessita… C’è forse il bisogno di rendere liberi i loro movimenti goffi ed impacciati per condizione, o la necessità di scegliere delle scarpe comode e contenitive piuttosto che un infradito o una sneakers dalla calzata più incerta e facile alle cadute… Ci hai mai pensato?

disegno di diversi animali vestiti

L’inclusione dell’apparire

Mi presto al gioco dell’apparenza, non per me ma per Giuliano… anche se, sinceramente, mi fa schifo.
Si perché, lasciamelo dire, è umiliante essere costretti a compensare ciò che non si ha con l’apparenza.
Tra l’altro è’ un gioco per quei pochi che se lo possono permettere, che dura poco e che non ripaga perché fa sentire ancora più diversi, ancora più costretti a lottare per essere “ospiti graditi”.

Se in questo mondo sei esteticamente gradevole, anche nella diversità le persone hanno meno remore ad avvicinarsi e, in una parola, ad accettarti. Come se l’esteriorità fosse uno scudo alla paura e una garanzia di bontà.

Mio padre non me lo avrebbe mai permesso

Non mi sento del tutto immune dall’apparenza. Anch’io fino a qualche anno fa ero “dall’altra parte della barricata” coi miei pregiudizi e le mie paure per chi era diverso da me, e anch’io ho guardato spesso all’abito cercando di capire se dietro ci fosse o meno il monaco.

Ma mai nei confronti di chi era visibilmente più debole, di chi aveva un handicap, questo mai… mio padre per primo non lo avrebbe mai fatto, né me lo avrebbe mai permesso.

Questo monito oggi manca, negli adulti e nei bambini purtroppo.
C’è bisogno di ritrovare il senso della vita, il significato profondo dei valori che una volta ci venivano insegnati e che oggi, in nome della libertà, sempre più spesso vengono affievoliti fino a perdersi del tutto.

piedi di bambini

Semplicemente un bambino

Vorrei che le persone si fermassero, che fossero capaci di vedere oltre il vortice che li acceca e che, svegliandosi dal torpore di questo modo di vivere, si rendessero conto di ciò che conta davvero, di ciò che viene prima di ogni altra cosa, che sul piatto della vita rende un disabile esattamente uguale agli altri, a tutti gli altri …

Vorrei che le persone vedessero che davanti ai loro occhi c’è semplicemente una persona, e non le etichette che questa società gli mette addosso.
Perché mio figlio Giuliano, prima tutto è un bambino… solo e semplicemente un bambino.

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