Sei qui: Home » Blog » Società e Integrazione » Temi Sociali » Con la malattia e la disabilità, cambiano i rapporti con amici e parenti?

Con la malattia e la disabilità, cambiano i rapporti con amici e parenti?

·

Avatar Romina
due panchine vuote in un giardino in autunno

Quando ci si trova a vivere con una malattia invalidante, i rapporti intorno a noi cambiano, drasticamente.La disabilità è qualcosa che scardina ogni confine del proprio immaginario: ti costringe a riorganizzare la tua vita, a mettere da parte i desideri e i sogni, ti schiaccia e ti obbliga a scelte inimmaginabili ed insopportabili alla mente e all’anima. Il dolore e l’insicurezza prendono il sopravvento e ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi ed i nostri limiti, costretti a guardarci dentro e a vedere i rapporti che abbiamo costruito con gli altri.
E purtroppo, quasi sempre ci si ritrova a chiedersi: “che fine hanno fatto tutti?”

La malattia arriva come una valanga….

A poche ore dalla nascita di mio figlio, tantissime le persone che sono venute a trovarci per conoscere Giuliano. Ricordo ognuno di loro: parenti, amici, persino clienti del mio studio… custodisco dentro di me, anche oggi, la gioia infinita di quei momenti.
Dopo due giorni però, non ci è dato tornare a casa…quella culla, con il lenzuolino nuovo assolutamente coordinato alla copertina calda e soffice che avevo preparato, resterà vuota per un bel po’.

Dopo due giorni noi siamo in Tin (Terapia Intensiva Neonatale), attaccati ad un’infinità di fili, aghi, luci e monitor. Vivremo i primi due mesi di vita di nostro figlio così, in ospedale: sperando, piangendo e pregando.
Tutto l’affetto e la gioia condivisa per l’arrivo di Giuliano, quel calore di cui mi ero nutrita anche a compensazione di una madre che poteva amarmi solo da lassù, tutto svanisce in poche ore… e quell’affetto in molti casi si è trasformato in gelida assenza.

Senza voler parteggiare per le reazioni di chi si ritrova con una “malattia in mano” o di quelle di chi si trova a viverla de relato, l’unica cosa certa in questa situazione è che tutti debbono far fronte ad una valanga che non risparmia nessuno.
Ma se da un lato la ragione ed il tempo mi permettono di accettare ogni reazione al dolore e allo sgomento, dall’altro lato credo che non vadano mai perse di vista le vere vittime di questa ingiustizia, l’anello debole di una catena che ci tiene tutti agganciati alla vita come possiamo e al quale, in quel momento, va data la cura e l’attenzione primarie.

…e con la malattia le prime reazioni di chi ci vive accanto.

La reazione immediata di chi riceve una sentenza di disabilità, va dalla rabbia alla depressione, dalla preghiera all’urlare la bestemmia, dall’istinto di vivere a quello di lasciarsi morire, dalla fuga all’operosità, dall’essere logorroici al chiudersi in se stessi.
Io mi costruii un muro di solitudine e di silenzi, apparentemente innocui, ma che nel tempo divide l’altro da sé… e solo chi ha provato a scavalcare questo muro mi ha ritrovata.
Per gli altri è rimasta l’immagine di me, di quella che ero e che, nonostante il mio sorriso, non sono né sarò più.

Anche le reazioni immediate di chi vive accanto alle persone colpite dalla disabilità sono diversissime.
C’è chi si dispera recitando la più pietosa tragedia lirica, dimenticando l’attore principale che viene lasciato solo con se stesso.
C’è chi non ce la fa, non riesce a superare il disagio del “cosa dire”. E allora ti manda un sms per dirti “non ti chiamo per non disturbare”…ma anche se rispondi che non disturba affatto, comunque non chiamerà, puoi starne certo.
C’è chi, anche senza preannunciarlo, non ti chiama e basta.
C’è chi ti chiama e ti dice “non so cosa dirti”. Sono parole semplici, vere, che io ho apprezzato moltissimo: è chiaro il disagio degli altri, un po’ per la difficoltà di arrivare a noi in certi momenti, un po’ perché ognuno ha il suo vissuto con cui fare i conti…e poi perché è vero, non ci sono parole che in quei momenti siano di conforto.

Quel silenzio che ci lascia così soli

Per chi vive la malattia, però, è proprio il silenzio il primo momento in cui ci si rende conto della solitudine ed emarginazione che, salvo rare eccezioni, lo aspetta.
È quell’essere cercati anche solo per un “ciao” che ti butta un’ancora, che ti regala la speranza che dal calore di una parola o di un abbraccio troverai la forza di rialzarti.

Ci sono poi i nostri Angeli custodi. Sono quelli che bucano il silenzio e sono lì, ognuno come può.
C’è chi ha bisogno di fare. E in quei due lunghissimi primi mesi in ospedale, c’è stato chi si è offerto di lavare i panni, o di regalarmi il tempo di una doccia, chi si è fatto silenziosamente carico del mio lavoro, o chi ha mollato figli ed impegni per portarmi una lasagna al forno a farmi ritrovare il calore di casa.
C’è chi è semplicemente venuto, a volte anche fingendo di trovarsi da quelle parti così da lasciarci liberi dalla doverosa gratitudine…chi si è seduto accanto a noi, a stringerci forte la mano e a dirci in silenzio che non eravamo soli.

C’è stato anche chi ha sfondato di prepotenza la fortezza in cui mi ero rinchiusa, suonando alla porta di casa nonostante il mio non rispondere: non mi ha mollata a me stessa e ai miei pensieri, ma ha preteso che reagissi, ha accolto ogni mia estrema emozione, mi ha rimproverata, mi ha scossa e poi abbracciata, affinché tornassi a vivere, per me e per la mia famiglia.
In persone come queste ho visto l’amore e la potenza di Dio.

una persona aiuta un'altra ad arrampicarsi

Chi ci resta accanto nella “disabilità per sempre”

I giorni, gli anni, passano…ma la disabilità è per sempre.
Per chi è affetto da una malattia cronica lo stato di salute non può migliorare.

Nonostante lo scorrere del tempo, la disabilità lascia a chi la vive le insicurezze, le paure, i giorni tristi, i limiti di una vita che non permette quasi mai viaggi, divertimenti, libertà di fare ciò che il nostro pensiero naturalmente richiama.
Per la mia famiglia è quasi una regola rifiutare inviti a feste, compleanni, occasioni di incontro con parenti ed amici: vuoi per tutelare la salute di Giuliano che richiede di non essere esposta a virus e di non ammalarsi, vuoi per l’autismo che ad oggi gli impedisce di vivere molte situazioni.

Ma in questo labirinto fatto di limiti e divieti, come si possono coltivare i rapporti con gli altri? Come possono sopravvivere le amicizie e gli affetti di fronte all’impossibilità di condividere la maggior parte delle esperienze quotidiane?

C’è voglia di vivere anche nella disabilità

Chi vive la disabilità è la stessa persona che era prima di questa nuova condizione, non dimentichiamolo.
Ci si riorganizza, si vive facendosi bastare ciò che si può fare, anche se si tratta di piccole cose. E si può essere appagati, si può essere allegri, felici, si ha ancora voglia di vivere e di ridere.

Con la malattia e la disabilità i rapporti con i parenti e gli amici inevitabilmente cambiano, e sono pochi i rapporti che si rinsaldano, si ritrovano o resistono a tanto dolore.
Sopravvivono solamente i rapporti autentici, quelli basati sulla solidità dei sentimenti.
Chi ci resta accanto sono coloro che in noi non vedranno solo la disabilità, il buio che la circonda ed il peso di sostenerci in certi momenti.
Sono pochi, pochissimi, è vero… ma la moltitudine spesso è solo confusione, e nella confusione non c’è mai la vera felicità.
Chi ci resta accanto sono coloro con i quali possiamo essere noi stessi, nella tristezza ma anche nella nostro infinito entusiasmo ed attaccamento alla vita…quella smania di vivere che ci fa godere a pieno ogni occasione, ogni momento in compagnia, ogni risata, ogni abbraccio, ogni bicchiere di vino alzato al cielo.

Chi ci resta accanto sono coloro che ci vogliono bene davvero.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.