Da genitore di un bambino nello spettro autistico che per suo figlio ha scelto l’ABA, criticato da chi ha fatto una scelta diversa, dico: <<Non se ne può più!>>.
Siti internet, gruppi facebook, articoli banali inseriti tra un gossip e una clutch alla moda che propinano la solita accusa trita e ritrita, avvalorata (solo!) dal dito indice puntato su di te.
La tua colpa? Sei un babbeo, un genitore sconsiderato, che non accetta il proprio figlio e che si fa abbindolare da una scienza applicata che farà di lui un piccolo robot, un cagnolino ammaestrato, un automa senza cognizione di causa in ogni suo gesto!
Molto meglio affidarsi alla libertà di espressione, all’attesa (di cosa?) e alla sola riabilitazione psicodinamica (dicono), senza un progetto da seguire né indicazioni chiare, che possano dare alla famiglia strumenti concreti per interagire col figlio autistico?

Mi domando…
Mio figlio, dunque, sarebbe un automa anche quando mi chiede di fare pipì e poi, di fatto, va in bagno e la fa? O lo sarebbe quando mi chiede di accendere la tv e, scegliendo un cartone animato, se ne metto un altro si arrabbia e insiste per vedere quello da lui scelto? O quando nel programma della sua giornata mi indica chiaramente ciò che non ha voglia di fare e ciò che invece vorrebbe fare?
Piuttosto, non sono, questi, apprendimenti (acquisiti nel suo caso con le tecniche ABA) che presuppongono il riconoscimento di un bisogno, la capacità di esprimerlo, la verifica del possibile gap esistente tra la sua volontà e quella di un altro, misurandosi con la realtà?
Come ho detto più volte, l’ABA non è “la scienza” per antonomasia: non esiste un approccio comportamentista che sia il migliore in assoluto per chi si trova di fronte a problemi cognitivo comportamentali o rientranti nello spettro autistico. Sicuramente, ad oggi, è la scienza che ha dimostrato un’efficacia maggiore rispetto ad altre e che, nella sua applicazione, ha ampiamente smentito le accuse rivoltele.

Vox populi e… timori infondati
Approcciatami inizialmente all’argomento ricercando in internet, ho letto di tutto e di più.
Se approfondisci l’argomento, anche tu scoprirai che la maggior parte dei medici e terapisti che sconsigliano l’ABA hanno il mero intento denigratorio di chi o semplicemente non è capace di metterla in atto o non ha i titoli professionali per farlo.
Anche molti genitori spesso liquidano questo tipo di scienza con un semplice “non è adatta a mio figlio”: mentre sono pochi i casi in cui questo corrisponde a verità, la maggior parte di loro non hanno risorse (mentali, culturali, economiche, sociali) per decidere di adattare sé stesso, la propria casa e la propria vita ad un approccio comportamentale che, per dare i suoi frutti, richiede l’impegno, la costanza e la fermezza di tutti i membri della famiglia.
Non sarebbe più onesto dire “non ce la faccio”, “non ho studiato per applicarla”, “non me la sento”, piuttosto che denigrare una scienza e, magari, scoraggiare chi avrebbe potuto e voluto approcciarvisi?

Ancora le stesse critiche
“L’ABA è un falso insegnamento: i bambini ripropongono degli schemi meccanicamente e senza ragionamento.”
“I bambini vengono addestrati come cani, dietro ricompensa del biscotto.”
“L’ABA crea degli apprendimenti innaturali finendo per trasformare i bambini in robot.”
“È una tortura per i bambini, che si ritrovano in una situazione di apprendimento intensiva e che continua per tutta la giornata.”
E pensare che le famiglie stanno facendo battaglie sociali e legali da anni affinché l’ABA, riconosciuta dalla scienza tra i trattamenti più efficaci, possa essere fruibile dai propri figli. Un’orda di ignoranti invasati?

Non è un insegnamento meccanico
Se i bambini normalmente imparano per imitazione, esperienza diretta, osservazione e rielaborazione, un bambino autistico no.
Chi è nello spettro quasi mai ha capacità imitativa, di esplorazione e di apprendimento spontaneo nell’ambiente: per loro serve un approccio diverso dalle metodiche tradizionali, inadatte ad un cervello che funziona diversamente.
Mio figlio, ad esempio, ha una capacità di imitazione pressoché nulla: il fatto che lo si aiuti a farlo fisicamente e ripetutamente fa sì che nel tempo riesca a compiere quel gesto altrimenti impossibile per lui.
Il suo primo bacio lanciato? A quasi 8 anni, dopo aver
lavorato per mesi sul gesto di mettere la mano aperta alla bocca, dare un bacio
e allontanare la mano dalla bocca direzionandola verso il destinatario del
bacio… si tratta di una pluralità di azioni concatenate, tutt’altro che
semplici e spontanee per lui.
La ripetizione dell’esercizio crea nella sua mente la conoscenza… è memoria? Certo!
Non è ciò che facciamo noi neurotipici nel momento in cui apprendiamo, memorizzando ed imitando ciò che vediamo?
L’unica differenza sta nel modo di imitare che, non potendo avvenire spontaneamente per effetto della neurodiversità, in ABA viene indotto: il terapista che crea la situazione, aiuta fisicamente il bambino a compiere le singole azioni (prompt) per poi diminuire gradualmente l’aiuto fino a quando il bambino è in grado di compierlo da solo.

Addestramento o motivazione?
L’ABA parte dalla motivazione del bambino per produrre il cambiamento comportamentale o cognitivo: ne deriva che a seguito di un apprendimento o un esercizio o un comportamento corretto il bimbo viene premiato.
In cosa consiste il premio? Una patatina, una caramella, un palloncino, una pallina, tre minuti di tablet o di cartoni animati, il solletico… qualsiasi cosa che il bambino ci indichi come cosa desiderata.
Il premio diventa necessario per i bambini nello spettro autistico proprio perché, a causa delle proprie difficoltà relazionali, almeno inizialmente non accettano di impegnarsi per un “bravo” del quale non comprendono il valore sociale, mentre lo faranno per qualcosa che desiderano e che li gratifica.
Ma se ci pensi bene, non è quello che facciamo alla base di ogni azione anche noi?
Andiamo a lavorare per lo stipendio a fine mese, studiamo per un bel voto, ci alleniamo per vincere una gara, prepariamo un dolce per sentirci dire che è buono… cosa c’è di così riprovevole?

Cosa mi ha convinta all’Aba
Aveva già quasi tre anni, e da quando aveva iniziato a camminare mio figlio Giuliano lo faceva muovendosi continuamente all’interno della stanza in cui si trovava senza sosta, senza meta, senza apparente motivo né traiettoria che noi genitori potessimo comprendere: sembrava una pallina matta lanciata da una parete all’altra.
Dopo solo tre settimane di lavoro con ABA, Giuliano è riuscito a “fermarsi” da questo vorticoso movimento e a mantenersi in una posizione seduta, necessaria per la maggior parte degli apprendimenti.
Nel tempo moltissimi sono stati i progressi e le competenze che ha acquisito: dal contatto oculare con l’altro da sé, alla classificazione ed identificazione degli oggetti; dalla ricerca dell’altro, alla comunicazione tramite Pecs; dall’orientarsi in luoghi a lui noti, all’organizzazione del proprio gioco libero; dalla maggior consapevolezza di ciò che ha intorno, all’esprimere con forza la propria volontà; dal controllo sfinterico, al mangiare con forchetta e cucchiaio, e molto altro ancora.
Io non credo che l’ABA sia l’unico modo per aiutare i bambini che si trovano nello spettro, credo però che sia importante smettere di denigrare un metodo o l’altro… cercando poi di fare cosa?
Non ci sono vincitori di fronte all’autismo, ci sono solo genitori che fanno tutto ciò che possono per aiutare i propri figli, prendendosene piena responsabilità, qualunque sia la strada che sceglieranno di percorrere… liberamente.