Da quando sono madre di Giuliano, malato metabolico dalla cui patologia è conseguito un ritardo dello sviluppo rientrante nello spettro autistico, certe notizie di cronaca hanno la capacità di riempire di paura i miei pensieri e lo stomaco per giorni e giorni.
Se ovviamente il primo pensiero va a questi ragazzi e all’inimmaginabile che possono vivere, quello successivo corre a mio figlio, pregando che a lui non capiti mai una cosa simile.
Di cosa sto parlando? Dei tanti, troppi, ragazzi disabili con compromissioni cognitive che scompaiono nel nulla e dei quali, purtroppo, la cronaca riporta un crescendo di casi.
Perchè
Sono ragazzi che si disorientano fino a smarrirsi tra la gente alla prima svista, più o meno volontariamente, senza rendersi conto di ciò che stanno facendo né delle conseguenze cui vanno incontro, proprio a causa della disabilità che vivono.
Alcuni di loro si danno alla fuga nascondendosi dopo aver subìto l’ennesima eccessiva stimolazione sensoriale o una frustrazione cui non resistono e che spesso noi nemmeno percepiamo.

Sono ragazzi fragili, spesso incoscienti di dove si trovano ed incapaci di riconoscere strade o luoghi sicuri: non comprendono quando si trovano in una situazione di pericolo né riescono ad elaborare le informazioni per evitare o risolvere una situazione precaria.
Sono ragazzi che nella maggior parte dei casi non parlano o non riescono a comunicare con gli altri: non sanno la funzione del chiedere aiuto né sarebbero capaci di farlo, ed anche se si ritrovassero con delle persone davanti non comprenderebbero la necessità di affidarsi a loro per essere ricondotti a casa, non conoscendo il significato del perdersi.
Di fronte ad estranei, piuttosto, è probabile che abbiano reazioni per noi incomprensibili: un ragazzino perso in un bosco, ad esempio, sentendo delle voci in lontananza facilmente si spaventerebbe ancor di più e piuttosto che andargli incontro, fuggirebbe ancora, e ancora e ancora.

Se capitasse a mio figlio
Non posso nemmeno pensarci senza sentirmi morire.
Giuliano sarebbe così, in fuga da tutto e da tutte le persone a lui sconosciute: potrebbe farsi male e non solo non essere capace di dire nulla non parlando, ma nemmeno di urlare per farsi sentire.
Conoscendolo, si chiuderebbe invece in sé stesso alternando stati di immobilità a frenesia, rapito da un sasso o da un buco a terra o… dall’acqua che lo attrae così tanto da abbandonarcisi ed esserne inghiottito senza volerlo.
E se per qualche motivo si mantenesse in vita, arriverebbe la sua malattia a fare il resto: senza alimentarsi, non avrebbe più di un giorno a disposizione per essere ritrovato, prima di andare in coma ed addormentarsi per sempre da solo, al buio, al freddo, impaurito e senza che nessuno gli tenga la mano o lo abbracci forte facendolo sentire al sicuro.
Ed il suo ultimo pensiero sarebbe per me e per il babbo… ne sono sicura.

Cosa si può e si deve fare
Nessuna polemica e nessun dito puntato da parte mia, né sulle strategie di ricerca di questi ragazzi, comprese risorse e tempistiche, ma nemmeno su coloro che erano deputati alla loro sorveglianza.
Ogni caso, ogni scomparsa, è una storia a sé ed ognuna con le sue inevitabili mancanze: a volte delle autorità, a volte delle persone che ne avevano la custodia, a volte dei genitori.
Se è vero che la perfezione non esiste, è altrettanto vero che ci si interroga sugli errori fatti solo quando ci si trova davanti a queste tragedie.
E allora si mobilitano migliaia di uomini da impegnare nelle ricerche, ci si affida al fiuto dei cani molecolari e persino ai sofisticati droni dotati di telecamere termiche, teoricamente capaci di rilevare la presenza di una persona tramite il calore del corpo… ma nulla di tutto questo è mai servito per ritrovare nessuno di questi ragazzi.
Se invece di concentrarsi sulla ricerca dei bambini scomparsi ci concentrassimo su come prevenire tutto questo?
Perché non usare la tecnologia di cui il mondo si vanta per far sì che chi ha una disabilità intellettiva non corra più il rischio di fuggire, perdersi o scomparire nel nulla andando incontro a morte certa?

Per la tecnologia, realizzare dei dispositivi elettronici dotati di localizzatori satellitari in grado di monitorare la posizione di questi ragazzi non è affatto fantascienza.
Dovrebbero essere realizzati strumenti di localizzazione ad hoc, discreti ma impossibili da togliersi per chi, come mio figlio, non sopporta di sentirsi addosso nulla… e dovrebbero essere erogati dal servizio sanitario nazionale come ogni altro ausilio per disabili, perché di questo si tratta, di un aiuto per coloro che si perderebbero nel nulla alla prima occasione.
Cosa conta di più?
Si è vero, un dispositivo simile violerebbe alcuni diritti fondamentali: quello a non essere obbligati ad una pratica più o meno invasiva se non si è in imminente pericolo di vita, quello della libertà di circolazione e soprattutto quello alla privacy…. Bla bla bla!
Perché, davvero credi di avere garantita una privacy? Davvero credi di essere libero di spostarti senza che nessuno sappia dove ti trovi? Davvero credi che l’obbligo di indossare questi dispositivi sia una violenza? Davvero anteporresti queste garanzie, belle e vere solo sulla carta, alla vita di tuo figlio o di tuo fratello disabile o autistico o a tuo padre malato di alzheimer?
Io no! Ed è giusto che quantomeno si abbia la libertà di scegliere!

Se mio figlio non ha capacità di agire a causa della sua disabilità e, per questo, è demandato a me familiare più prossimo il diritto dovere di prestargli l’assistenza e le cure necessarie per garantirgli la miglior vita possibile, mi sia data anche la possibilità di proteggerlo dal perdersi nel nulla e morire, scegliendo di munirlo di un dispositivo a rilevazione satellitare.
Sono pazza? Si, pazza di paura che mio figlio possa scomparire come i tanti ragazzi di cui si sono perse le tracce nel nulla, per sempre… ed il mio amore per Giuliano è troppo immenso per accettare anche solo col pensiero un dolore simile.
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