Mi ritrovo spesso a rimuginare sulla mia condizione di solitudine familiare, ammirando e sognando anch’io di avere quel sostegno, soprattutto pratico, che vedo nella vita di moltissime persone intorno a noi.
Ma poi le guardo bene, ci parlo e non trovo quasi mai quel sollievo e quella leggerezza che mi aspetto, mentre scorgo in loro, piuttosto, quasi sempre la stessa mia condizione: quella di sentirsi “schiavi”, seppur di “padroni” diversi.
Il naturale bisogno di aiuto
Cagnolino randagio sin da bambina, data la scomparsa precoce di mia madre, ho sempre avuto l’urgenza di cavarmela contando solo su me stessa e molte volte ci sono riuscita.
Ho vissuto da sola anche quando non avevo i soldi per le bollette, mi sono pagata l’università, la pratica forense e lo studio legale che avevo, ho scelto ed acquistato da sola la mia prima automobile e le successive… ma da giovane e con il futuro stretto tra le mani nulla mi sembrava impossibile.
Non è più così oggi.
Da quando sono madre conta prima di tutto mio figlio Giuliano, tanto più per la sua fragilità ed incapacità di essere autonomo, oggi come tra vent’anni, dovute alla patologia rara ed invalidante con la quale è nato. Siamo io e mio marito da soli ad occuparci di Giuliano, anche se i ruoli che abbiamo ritenuto giusti per noi portano me ad occuparmi della gestione quotidiana di nostro figlio e lui a sostenere economicamente la famiglia lavorando per molte ore al giorno fuori casa… perché con un bimbo che necessita di particolari cure e terapie riabilitative non sempre “sotto casa”, i soldi non bastano mai.
Se è vero che la nostra particolare condizione accentua il nostro bisogno di aiuto, invero, tolta la disabilità siamo alla stregua di molte altre famiglie che si ritrovano a doversi barcamenare nella vita di tutti i giorni da soli… ed in un mondo complicato come quello in cui viviamo, sopravvivere non è scontato.

La solitudine che ti fa annaspare
Più volte mi sono scervellata nel tentativo di capire perché ci ritroviamo soli ad affrontare il quotidiano e di cambiare la realtà, ma ho intimamente compreso che non serve a nulla e che niente si può fare: non si può avere con la forza ciò che non arriva con la volontà.
I motivi della mancata reazione poi, possono essere i più disparati: la mancanza di affetto sincero o di empatia, l’egoismo, gli impegni di lavoro, le contingenze ed i problemi altrui, il disinteresse… e persino la disabilità. Resta il fatto che, qualsiasi sia la causa, nella solitudine tutti annaspiamo.

Quando una rete di aiuti non c’è
Se da ragazza vivevo la mia solitudine come libertà, oggi la sento un grosso limite.
Prigioniera dei doveri e degli impegni tuoi, di tuo marito e dei tuoi figli, quel tetris fatto contando solo sulle tue forze alla lunga non può che imbruttirti, isolarti ed emarginarti.
Già di per sé, la consapevolezza di poter contare solo sui salti mortali della tua amica, che per farti andare dal medico si prende un giorno di ferie, o su una babysitter dietro compenso, ti fa sentire letteralmente schiava dei tuoi impegni e delle tue scelte, foss’anche solo quella di aver voluto un figlio.
Quando una rete di aiuti non c’è ci si sente persi, in affanno ed in balia degli eventi, e la verità è che difficilmente se ne esce fuori senza che qualcuno o l’intera famiglia non ne paghi lo scotto… di sentirsi esauriti, di venire trascurati, di decidere per una separazione.
È così difficile oggigiorno tendere la mano?

Una famiglia in aiuto
Così era una volta, quando si contava l’uno sull’altro, quando i nonni crescevano i nipoti di modo che i genitori riuscissero a conciliare il lavoro con la famiglia, quando sicuramente tutto era meno complicato di oggi.
Per fortuna, però, è ancora così per molti.
Una ricchezza inestimabile, secondo me, che presenta più di un vantaggio per tutti: dal poter lavorare serenamente senza l’ansia di rientrare in ritardo se c’è traffico, al poter dedicare lo stipendio alla famiglia piuttosto che spenderlo tutto per gli aiuti, al godersi i nipoti, al poter tramandare con amore le tradizioni, storie e valori, al far crescere i bambini in un ambiente sano e a loro misura, al poter gestire un’emergenza senza sentirsi mancare il respiro.
Eppure, anche questa soluzione a volte ha un prezzo.
Troppo spesso, invero, l’aiuto che si riceve cela una sorta di “controllo”.
È sempre più raro, infatti, ricevere aiuto senza aspettarsi in cambio alcunché, persino quando questo arriva da un genitore.
Quante volte ho ascoltato racconti che se da un lato ti fanno accomodare su una situazione ottimale di aiuto e sostegno, dall’altro lato ti ricordano – e nemmeno tanto per il sottile – che “se tu puoi è solo grazie a loro” pretendendo, quindi, di avere se non il controllo, la voce in capitolo sulle scelte della famiglia stessa.
Ma se le cose stanno così, non è forse meglio la schiavitù della solitudine, rispetto all’apparente libertà dell’aiuto che si riceve?

Solo amore… grazie!
E allora arrendiamoci a questa realtà, tutti.
La vita ci insegna costantemente come per un verso o per l’altro siamo tutti schiavi.
Chi vive la propria famiglia e le sue problematiche spicciole da solo, come me, non può che sentirsi schiavo della contingenza, temere ogni imprevisto ed ogni minimo cambiamento di programma, come una comune visita medica o la chiusura delle scuole per neve… perché ogni cosa, anche se banale, devi affrontarla contando solo su te stesso.
D’altro canto, spesso chi organizza la propria vita contando sull’aiuto dei propri cari si ritrova schiavo della loro ingerenza, mentre la famiglia, in questo modo, diventa sempre più fragile, vulnerabile ed esposta a facili crisi.
Io credo che il fulcro di tutto sia l’amore: una parola tanto inflazionata quanto assente nella maggior parte dei rapporti persino tra genitori e figli, dove l’incapacità di avvicinarsi con empatia e reale volontà di comprendere ed aiutare fa sì che ognuno sia, di fatto, da solo in mezzo agli altri.

Rompi le catene
Sì, è vero, sono sono rare le famiglie in cui tutti si è uniti per far fronte alla vita, ma ci sono… io ne ho conosciute ben due! Ed ogni volta che ho l’occasione di immergermi nella loro quotidianità mi sento, con loro, a casa: accolta, protetta, appagata, avvolta in una coperta calda… quello che vorrei sentisse mio figlio un giorno per me. Tu no?
Se è vero che non possiamo cambiare le nostre vite ed i nostri rapporti di oggi, possiamo cambiare il domani, a partire dalla consistenza dell’amore che decidiamo di dare sin d’ora ai nostri figli e alle persone importanti nella nostra vita.
Io non voglio snaturarmi, ed è per questo che anche con la delusione nel cuore, non smetto di tendere la mano anche verso chi, per me, non ha mai modo di porgerla. È capitato anche a te di fare questo tentativo?
Questo non serve né a cambiare le cose né le persone, ma serve a te stesso: non lasciare che la vita ti impoverisca, non cedere al gioco della rabbia e del rancore, ma dimostra col tuo esempio che tra mille persone con lo sguardo altrove ce ne sarà sempre una pronta ad incrociare il tuo con una mano tesa.
Cara Romina, di solito non intervengo su questo blog, ma il tema della rete di sostegno affettuoso ai caregiver del disabile mi sta particolarmente a cuore, e voglio riassumere la mia esperienza, per concludere con una proposta. Mio figlio Alessio ha ora 21 anni e mezzo, e fino a 18, io e mia moglie lavorando entrambi, abbiamo dovuto ricorrere ai parenti: anzitutto i nonni di Alessio (fin quando potevano), poi le sue zie. Crescendo, per lui è diventato sempre più necessario rivolgerci ad assistenti domiciliari. Ancora, abbiamo fruito di servizi semiresidenziali etc., sempre improvvisando, più o meno tempestivamente.
Alla fine, tutta questa girandola di mutevoli figure ruotanti ai suoi bisogni, negli anni ha sviluppato in lui una grande capacità di adattamento relazionale, una bella socievolezza ed adattabilità, ma pure una notevole insicurezza ed ansia su quello che sarebbe stato il programma del giorno dopo, su quale operatore o parente sarebbe stato con lui e quando. Inoltre, non è stato possibile coinvolgere tutti i partecipanti a questa “rete artigianale” in un programma comune e costante per certe esigenze educative (terapia comportamentale, metodi di apprendimento condivisi, etc.).
Ora è un ragazzo adulto e i problemi sono altri, diversi da quelli del periodo scolastico-formativo. Sulla base della mia esperienza, dunque capisco quel che scrivi, e che tutti noi genitori di disabili viviamo sulla pelle nostra e loro.
La mia proposta è: perché non facciamo rete, anzitutto tra di noi famiglie? Si potrebbe iniziare ad organizzare una Banca del Tempo, in cui ognuno mette a disposizione il proprio tempo libero, attingendo per quello di cui ha bisogno. Non saremmo i primi a farlo. Magari, se le cose dovessero andare bene, si potrebbe anche puntare ad una vera e propria Rete di Autoaiuto. Esiste già una nostra Associazione, a livello nazionale, la CblC Onlus. Potremmo coinvolgerla.
Un abbraccio – Andrea
Grazie mille Andrea della tua testimonianza, perché sono proprio gli esempi di vita concreta che muovono di più al confronto e alla condivisione.
Innanzitutto a voi genitori di Alessio va tutta la mia stima per il fatto di essere riusciti, lavorando entrambi, a crescere vostro figlio contando su aiuti temporanei o estemporanei… molti non ci riescono, ma questo lo sai già.
Riguardo la tua proposta… non sai quante volte io e la mia amica Lucia ci abbiamo pensato. Bisognerebbe andare a conoscere da vicino un simile progetto per poi replicarlo, in un contesto in cui disabilità e normalità possano incontrarsi ed interagire.
Un progetto simile permetterebbe a noi genitori, che con l’andare degli anni vediamo diminuire le energie fisiche, di avere qualche spazio da usare per il lavoro o per rigenerarsi, e ai nostri figli di stare in mezzo agli altri ragazzi in un ambiente neutro e quindi positivo… fuori dalle mura delle nostre case che, con il tempo, diventano per loro una vera e propria gabbia senza alternative.
Ciò che serve affinché la Banca del Tempo funzioni, invero, è una rete locale di persone, ben radicata sul territorio, accomunata dalla necessità di avere e dare il proprio tempo, che sia non solo scandito dalle lancette dell’orologio ma anche da una predisposizione, quando non competenza, a stare coi nostri ragazzi… ed è questo che, onestamente, costituisce lo scoglio più grande al fiorire di queste realtà.
Però… parliamone insomma, anche in privato! Se si può fare, noi ci siamo! (Romina)
Salve sono un padre con un figlio autistico minore grave. La madre di mio figlio ha deciso di vivere in un Altra nazione , vivo in casa di mia madre di 83 anni e devo dedicare tutto il mio tempo a mio figlio per dare una vita dignitosa a lui .le istruzioni sono assenti e ho denunciato questa situazione in TV ma sono indifferenti a tutto . tuttora combatto per mio figlio e ragazzi come lui ,tutta la mia forza la ottengo dalle carezze di mio figlio gli abbracci e i sorrisi che lui mi regala ogni giorno. Spero in un giorno migliore per questi ragazzi . Continuerò a combattere sempre.
Che tu abbia scelto di crescere da solo tuo figlio e combattere ogni giorno per la sua dignità e felicità non è affatto scontato… bravo papà, e grazie per la tua testimonianza di amore verso il proprio figlio… anche questo non è scontato, specialmente di fronte alle difficoltà
Il progetto della Banca del Tempo ce l’abbiamo in cantiere come Onlus da più di due anni, poi… la pandemia, che se da un lato ha bloccato tutto, dall’altro ha fatto emergere con ancora più evidenza questa esigenza; avevamo già fatto una bozza di progetto con il coordinamento della nostra psicologa di riferimento.
Se e quando riusciremo ad alzare la testa da tutto ciò… noi ci siamo, anche per pensare a un progetto condiviso.
Io sono mamma single di due 14enni di cui uno con disabilità grave, rete familiare scarsa. Capisco perfettamente ogni vostra parola.
❤️
Giulia
Leggo sempre più spesso di genitori che da soli crescono i propri figli…
Io sono fortunata, siamo in due a dividerci i pensieri e se serve anche gli impegni….ed è già difficile così…
Siete un prezioso esempio di forza, a testimonianza che volontà e amore superano ogni limite.
In bocca al lupo per questo prezioso progetto che spero vedrà presto la luce!