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Un ospedale a cui non ci si abitua mai

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Avatar Romina
clown seduto su scale tra le macerie

Non so perché. Nonostante siano quasi 8 anni che non faccio che uscire ed entrare dagli ospedali con mio figlio Giuliano, che convivo con la dolorosa diagnosi di malattia rara cui è affetto, che faccio “il cambio di stagione” alla valigia per l’ospedale sempre pronta per l’emergenza, che mi sento dare tristi aggiornamenti riguardo il progredire inesorabile della sua malattia senza cura, che viviamo la sua condizione di disabilità dal futuro incerto… nonostante questi anni, non riesco ancora ad abituarmi, ed ogni ricovero o day hospital di controllo mi destabilizza, disorienta, crea ansia ed agitazione, proprio come se fosse la prima volta.

Ogni volta, nei pensieri e nei gesti dei giorni che lo precedono, mi ripeto come se fossi in balia di una spirale dalla quale non riesco ad uscire.
E mi ritrovo a pensarmi incapace di un cambiamento che, invece, ogni volta sento sempre più necessario.

Sono io quella incapace di adattarsi? Di abituarsi? Di anestetizzarsi? …Ed è di fronte a queste domande che non posso fare a meno di domandarti <<Anche tu vivi tutto questo?>>.

L’attesa di una data

Sai che il momento di sottoporre tuo figlio ad un puntuale controllo medico multidisciplinare si avvicina ed attendi con ansia che dall’ospedale ti arrivi una chiamata a comunicarti una data.
Ma quando la telefonata arriva, tutto si ferma, respiro compreso: rispondi fingendo una tranquillità inesistente, indugi nei convenevoli di cortesia ma l’unica cosa che vuoi è una stramaledetta data, quella del giorno dedicato ai controlli di tuo figlio… la aspetti con tutto te stesso e la temi allo stesso tempo, perché ne hai bisogno ma non vorresti mai che arrivasse.

Due settimane prima

Un paio di settimane prima di quel giorno, la mia mente inizia ad aver bisogno di “prepararsi”, partendo dalle cose materiali: c’è un tempo necessario, infatti, per procurarsi prescrizioni mediche, farmaci, alimenti speciali, ma anche eventuali presidi medico sanitari per gli esami che dovrai fare.

La testa si fa pesante ed affollata di cose da procurarsi e da preparare: sento l’urgenza di fare.
In ogni caso mi sento tranquilla: di tempo ne ho e sono una persona super efficiente quando c’è da organizzarsi.

Tranquilla… ma lo sono davvero?
Giuliano, estremamente sensibile allo stato d’animo di chi gli è accanto, mi dice esattamente il contrario: in quei giorni è irrequieto, più facile alla ribellione, mi evita e quando resta solo con me si agita a sua volta… e capisco da mio figlio che non sono affatto tranquilla, ma che sto solamente controllando le mie ansie nel modo più razionale possibile.

gli occhi di una donna che guardano se stessa

I giorni che precedono il controllo

Sembrano quelli di chi è in attesa di presentarsi davanti ad un plotone di esecuzione.

Si autoalimenta in me il malessere fisico e psicologico, con le sue manifestazioni che ormai conosco bene: mal di schiena, mal di testa, ansia, fame nervosa alternata ad inappetenza.
Il fiato si fa sempre più corto ed uno stato di agitazione interiore la fa sempre più da padrone… mentre io mi arrabatto, tra lista delle cose da portare, le valigie da fare, gli imprevisti da considerare, cibo e vestiario da tenere pronto ed a portata di mano anche a casa (per essere preparati nel caso in cui un controllo di routine si trasformasse in qualcosa di più importante, tanto da dover rientrare per rifornirsi del necessario).

Arrivo a pensarle tutte, eh? Già… certi vissuti cui già una volta non sei stato preparato, non si dimenticano.
E con questo pensiero, i giorni prima del ricovero mi affanno a lavare, cucinare, sistemare…come se con la partenza per il controllo “finisse il mondo”.

A che serve curare il proprio aspetto?

In questo voler sistemare tutto ed essere pronti ad ogni eventualità, rientra anche “sistemare sé stessi”.
Prima di ogni controllo vado a rivedere taglio e colore dalla parrucchiera, mi depilo, curo mani e piedi, acquisto abiti comodi e sobri.

Mi chiedono ogni volta <<Perché? Infondo vai in ospedale! Che ti importa di curare queste cose in un momento così?>>.
Già… teoricamente dovrebbe essere l’ultimo dei miei pensieri “sentirmi a posto”. Eppure per me è importante e ti spiego perchè.

Se hai vissuto un tempo apprezzabile in ospedale, ricevendo terribili notizie sullo stato di salute della persona che più ami, se ti sei sentito confinato in un angolo, costretto ad ascoltare parole che poco lasciano spazio a qualcosa di buono, se quelle parole le hai sentite così violente e devastanti tanto da far fatica a non cedere all’istinto di correre in bagno a vomitare per buttarle via insieme all’acqua dello sciacquone, mentre hai di fronte i medici che stanno parlando… Se hai vissuto questo, sai che sentirsi sporchi, in disordine, non a posto, lì diventa l’ennesimo disagio nel momento in cui hai bisogno di difenderti da ciò che non puoi cambiare.

E se hai a che fare con una malattia cronica senza cura, la storia è destinata a ripetersi.

Soprattutto quando ascolto ciò che so bene riguardo la malattia di Giuliano ma che non voglio sentire, il progredire della malattia, la previsione di trapianto d’organi, le aspettative di vita medie, l’autismo che ne è derivato…ho la necessità di tener botta ai colpi che certe parole sanno infliggere, così da manenere la compostezza, la concentrazione e l’autocontrollo nel tentativo di far prevaricare la razionalità sul pianto. Insomma, sentirmi “esteriormente a posto” mi aiuta a controllare le paure.

un uomo e una donna in equilibrio yoga

Prepararsi mentalmente

Ormai l’ho capito, è proprio l’ordine esteriore, mio e degli spazi che organizzo così meticolosamente prima di un appuntamento ospedaliero, a darmi quel controllo di me stessa di cui ho bisogno per affrontare ciò che si deve, auto programmarsi alla sopportazione di ciò che in modo del tutto inatteso verrà, alla condivisione e alla mancanza degli spazi, come pure alla privazione della libertà persino di espressione linguistica.

Si tratta di un vero e proprio trainig di concentrazione ed autocontrollo che, come accade ogni volta almeno a me, sfogherà in attacchi d’ansia e notti insonni anche una volta tornati finalmente a casa.

È il momento di andare

Scrivo questo articolo al computer proprio tra un preparativo e l’altro per un day hospital di controllo che avremo tra qualche giorno a Padova… mi sto preparando nel corpo e concentrando nella mente, tra una valigia e l’altra in cui chiudere anche aspettative, domande, e piccole speranze.
Sono pronta, e tutti e tre saremo pronti a tutto… fiduciosi di sentirci dire che va tutto bene, perché Giuliano deve stare bene.

Commenti

2 risposte a “Un ospedale a cui non ci si abitua mai”

  1. Avatar Anna
    Anna

    Ciao Mamma di Giuliano forza e coraggioe la cosa che im tanti mi dicono ma non lo accetto sempre di bion grado noo mamme di patologie rare siamo tutte o quasi con ansia patologica da controlli io non riesco a trovare auto controllo sono più di 40 anni che ci provo ora va un Poco meglio ma piango urlò strepito e dopo sto male per averlo fatto brava hai espresso benissimo una mamma rara ciao un abbraccio Anna

    1. Avatar Romina
      Romina

      Anna, credo davvero che non ci si abitui mai… nessuna delle mamme che conosco è mai riuscita a farlo.
      Non ci resta che accettare, oltre alla malattia, anche l’ansia di questi appuntamenti medici che tanto ci spaventano, cercando di essere fiduciosi ed ottimisti. Ma questo, come anche tu mi testimoni, nonostante gli anni non può placare le nostre paure.
      La frase “forza e coraggio” che ti senti dire, se ti consola, anch’io non sempre riesco ad accettarla. La sento come un modo “sbrigativo” per evitare il vortice emotivo che ho dentro. Ma se mi metto al posto di chi mi rivolge queste parole, mi rendo conto che non è facile consolarci e starci accanto in questi momenti e che, in realtà, non c’è parola che in quel frangente possiamo davvero accettare o che sia realmente capace di darci forza e conforto.
      Sai chi a me da forza? Persone come te che, con il proprio vissuto, mi dimostrano che ce la si può fare, che quindi ce la posso e ce la devo fare anch’io. Grazie per questo tuo messaggio… sei tu che con queste parole dai forza a me e a coloro che ti leggeranno. Ti abbraccio anch’io… (Romina)

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