Sfatato il pregiudizio di chi ancora pensa che una persona con autismo non sia capace di provare emozioni (v. articolo sulle emozioni di un autistico), altra questione delicata e complessa è come queste vengano manifestate e, quindi, come noi possiamo riconoscerle nel momento in cui vengono espresse.
Già, perché chi è nello spettro viene letteralmente investito da un’emozione in maniera così totalizzante e forte da non riuscire a manifestarla affatto o, al contrario, da manifestarla con una modalità a noi indecifrabile.
Come possiamo capire cosa sta provando un autistico quando ride, urla o mette in atto stereotipie? È possibile farlo?

L’espressione delle emozioni
Una persona con autismo ha in sé l’incapacità di gestire le emozioni che prova: il più delle volte le subisce senza riuscire ad adattarle al contesto in cui si trova e, quando riesce ad esprimerle, spesso il significato del suo comportamento ci indica uno stato d’animo del tutto diverso da quello che sta effettivamente provando.
A volte un ragazzo autistico si ritrova a ridere mentre lo si sta rimproverando, o subito dopo essersi fatto male, persino ad un funerale. In questi casi, il riso non ha nulla a che vedere con ciò che comunemente vorrebbe significare: non è provocazione, né ilarità, né derisione, ma semplicemente un modo come un altro di far uscire un’emozione.
Il riso, in particolare, viene spessissimo utilizzato da chi vive l’autismo come strumento per dar sfogo alla propria tristezza ed ansia: una risata nervosa, inappropriata ed esagerata che, anche se può essere ingombrante, ha il pregio di non spaventare né allontanare gli altri… e questo un autistico lo sente.
Così facendo, chi è nello spettro si sente accolto e non ostacolato nel suo comportamento, riuscendo al contempo ad esprimere il suo incontenibile disagio.
Un ragazzo autistico che ride ad un funerale sta semplicemente dando voce al suo dolore… esattamente come facciamo noi col pianto.
Non so quante volte ho visto mio figlio Giuliano ridere a crepapelle dopo essere caduto, durante un mio rimprovero o anche senza un apparente motivo o stimolo di ilarità.
Quand’anche razionalmente stranita dalla sua risata, col cuore di madre di un bambino speciale l’ho sempre accolto proprio per aiutarlo a liberarsi da quell’emozione che lo stava dominando e che non era felicità… ma rabbia, frustrazione, dolore o ansia.

Questo non significa che un autistico non pianga se soffre o non rida se è felice: certamente è così… ma non sempre.
La felicità per chi vive nello spettro a volte è talmente forte da indurre la persona a mordere improvvisamente un oggetto o addirittura chi gli è accanto, quando non sé stesso… eppure è gioia.
L’aggressività, in particolare, ha infinite sfaccettature e significati emozionali nell’autismo.
La maggior parte delle volte è l’espressione della frustrazione dovuta alla difficoltà di comunicazione con gli altri (pensa a chi non parla o non ha strumenti alternativi per farlo), ma anche il risultato dell’esposizione ad un’eccessiva stimolazione sensoriale cui queste persone sono particolarmente sensibili (luoghi affollati, rumorosi, luci forti o intermittenti, ecc.).
In questi momenti la manifestazione violenta del loro sentire corrisponde ad una sensazione interna di dolore intenso, che nulla ha a che vedere col significato proprio dell’aggredire.
Anche l’autolesionismo spesso ha la funzione di diminuire l’ansia e l’angoscia: il dolore fisico prevale su quello interiore percepito più devastante che, per un po’, viene accantonato.
Altre volte, invece, il malessere interiore può manifestarsi con comportamenti ripetitivi ed “innocui”, anche se socialmente stigmatizzanti: sono le cosiddette stereotipie di carattere motorio (come sfarfallare, dondolarsi,…) o verbale (ecolalia) che fungono da auto stimolazione utile a contenere e contrastare le ansie, le paure, le angosce interiori. Diminuita l’ansia e la sofferenza, anche le stereotipie perdono di frequenza.

L’empatia
Un autistico non solo prova emozioni, ma nella quasi totalità dei casi ha una capacità empatico affettiva molto accentuata.
Chi è nello spettro è particolarmente abile nel percepire i sentimenti della persona che gli è accanto oltre ciò che appare, oltre le parole o i gesti che possono trarre in inganno.
Se sono triste, mio figlio Giuliano lo sente immediatamente: dapprima agitato ed irrequieto, con il passare del tempo trova il modo per avvicinarmisi fisicamente per poi restarsene quasi immobile stretto al mio fianco, ponendosi in uno stato d’animo di tranquillità che ogni volta mi commuove… quasi volesse trasmettermi un po’ di quella sua quiete. Sono brevi momenti di relazione emotiva intensa tra me e mio figlio che non si possono spiegare a parole.
Molte persone autistiche, invero, hanno troppa empatia affettiva: percepiscono le emozioni degli altri in modo talmente amplificato da essere sentite quasi come dolorose. In questi casi è per loro impossibile gestirne l’impatto al punto tale da spaventarsi e ritirarsi dalla relazione, dando agli altri l’impressione che non stiano provando nulla.

Ti aiuto… ma come?
Nel rebus delle emozioni di chi vive l’autismo è estremamente complicato districarsi. Ovviamente è possibile lavorare per far in modo che ad un’emozione segua la sua “corretta” risposta comportamentale… ma questo non è sempre possibile.
Come possiamo allora comprendere ciò che sentono i nostri ragazzi? Come possiamo aiutarli ad affrontare le loro emozioni?
Una risposta non esiste. Ogni individuo porta con sé la sua personalissima condizione autistica, con sintomi, problemi e caratteristiche diverse… proprio come ogni individuo.
Ma una cosa è certa: più riusciamo rendere questi ragazzi presenti alla realtà e all’ambiente, maggiore sarà la loro capacità di comprendere e accettare ciò che vivono.
Solo in questo modo riusciremo a tenere basso il loro livello di frustrazione e sofferenza: insegnando loro reazioni alternative ai comportamenti problema, incoraggiando ogni loro risposta positiva, accogliendo ogni loro emozione.
Accettiamo questi ragazzi per ciò che sono, continuiamo a lavorare per loro, accogliamoli, proteggiamoli anche da loro stessi se serve, accompagniamoli nelle loro ansie… e non perdiamo mai la speranza che domani possa essere una di quelle giornate piene della loro gioia vera.