Venerdì 17 gennaio, ore 12.30
Giuliano esce da scuola e la maestra mi racconta che, camminando, è inciampato e caduto e che ha pianto per un po’, tenendosi la mano. Ghiaccio messo. Lacrime cessate. Giuliano ha poi giocato e lavorato tranquillamente per il resto della mattinata.

Penso: <<Ok, gli capita spesso di cadere, anche a casa. Non è successo niente, benissimo!>>.

Ore 13.00
Il pranzo è pronto: lavo le mani a Giuliano prima di metterci a tavola. Nulla da segnalare.
A pranzo terminato, di nuovo gli lavo le mani. Giuliano si mette a giocare coi suoi grandi contenitori, sollevandoli con entrambe le mani e travasandoci le sue palline colorate. Tutto come sempre.

Ore 14.00
Arriva l’educatrice domiciliare. Caffè, due chiacchiere per aggiornarci sulle attività da fare con Giuliano e scappo dalla parrucchiera.
Urgenza del momento: coprire la ricrescita!

Ore 15.30
L’educatrice mi fa sapere che a Giuliano si sta gonfiando e scurendo il dito mignolo della mano sinistra. Lui comunque è tranquillo: non piange, lo muove e non si lamenta se glie lo si manipola.
Le riferisco della caduta mattutina e, comunque tranquilla del fatto che lo muovesse, mi do il tempo di fare le mie cose e tornare a casa prima di prendere ogni decisione.

Ore 17.30
Arrivo a casa. Nel frattempo la babysitter ha dato il cambio all’educatrice.
Il dito effettivamente si è gonfiato un pochino e mostra dei lividi che a pranzo non aveva. Anche lei mi dice che il dito lo muove bene, non si lamenta ed è tranquillo. Continuo a pensare che sia tutto a posto ipotizzando che si tratti di un semplice ematoma da caduta.

Ore 18.00
Io e Giuliano a casa, da soli con un tarlo in testa che non mi faceva stare del tutto tranquilla.
Chiamo la nostra dottoressa: non risponde.
Chiamo la mia amica infermiera: guarda le foto e mi consiglia un controllo. Ed il tarlo si alimenta ancora, pur sperando fino alla fine di evitare l’ospedale.

Ore 18.20
Mi richiama la dottoressa: mi dice che non possiamo fidarci delle reazioni di Giuliano. Perché? Giuliano è autistico, ha una soglia del dolore alta ed il fatto che muove il dito non esclude la presenza di fratture.

Ore 23.00-2.30-4.45
Una nottata passata a controllare il dito di mio figlio.

Sabato, ore 8.00
Il dito è gonfissimo e quasi completamente nero.
La decisione ora è chiara: andiamo al pronto soccorso.

Ore 11.00
la radiografia mostra una frattura nella falange media del dito mignolo.

dito rotto di giuliano

Cosa si fa?

Insieme all’ortopedico decidiamo subito per un gesso fino all’avambraccio.
Se comunemente sarebbe stata sufficiente una steccatura o al massimo un gesso fino al polso, per Giuliano non è la soluzione ottimale dal momento che di sicuro avrebbe provato a toglierselo.

Mio figlio non parla, ha un ritardo cognitivo importante e di certo una soglia del dolore molto alta.
Questo significa che, per sopperire a tutto questo, bisogna controllare:
– che le dita libere dal gesso non si facciano nere, perché magari è troppo stretto;
– che il gesso non lo ferisca, per il medesimo motivo;
– che non si bagni il gesso, data l’attrattiva che l’acqua ha su Giuliano;
che non riesca a sfilarselo, altrimenti bisognerebbe rifarlo bloccandolo fino al gomito.

La sentenza: gesso da tenere per 20 giorni.
Penso <<Oddio, come farà Giuliano? E come accidenti farò io?>>

Cosa resta?

La preoccupazione per una soglia di dolore così alta da non farlo urlare né piangere nemmeno una delle decine di volte che gli abbiamo piegato quel dito, per cercare di capire se fosse rotto.
Un timore, questo, che se per questa frattura lascia il tempo che trova, fa temere per le volte in cui la manifestazione del dolore è fondamentale per capire che sta male e portarlo in ospedale nei giusti tempi.

Il mio senso di colpa per aver sottovalutato quel dito gonfio ed aver dato eccessivo peso al suo non piangere.

La frustrazione di tutti: di Giuliano, che può solo subire quel gesso, quell’impedimento alle sue attività, senza capirne il motivo, l’importanza e la necessità; di noi genitori, che dobbiamo subire la sua rabbia ed il suo nervosismo, nell’impossibilità di aiutarlo a capire cosa gli sta succedendo.

Una quotidianità che si fa ancor più complessa di quanto la disabilità non la renda già tale.
Aggressività, pianto disperato, nervosismo, si alternano tutto il giorno al bisogno di essere abbracciato e coccolato: le ore passano così, in un’altalena emotiva che toglie ogni forza, a tutti.

Una lunga lista di cose che non può fare e che non accetta di non poter fare.
In un’ora giuliano chiede di togliersi il gesso almeno quattro volte.
Non riesce a giocare con ciò che vorrebbe, ed avendo interessi limitati come la maggior parte degli autistici, non riesce a trovare un’alternativa. Quindi, prova invano a fare i suoi travasi ed ogni volta piange, si arrabbia, si annoia e si abbandona a quelle odiose stereotipie che riaffiorano senza scampo.
Non può fare il bagno serale, che è per lui il momento più atteso della giornata, l’unico capace di dargli il piacere di giocare con l’acqua e la tranquillità di cui ha bisogno.

Insomma, non può fare nulla di ciò che gli dà sicurezza e benessere nel suo quotidiano… e questi soli due giorni di convivenza con il gesso li abbiamo vissuti entrambi come fossero già un’eternità.
Cosa resta davvero? Venti lunghissimi giorni in cui la parola d’ordine sarà – ancora una volta – “resistere”!

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