Sono le ore 18.00 in punto di un caldo pomeriggio di giugno, quando suonano alla porta.
È tutto pronto.
Casa in ordine per quel che ho potuto fare: <<Luca mi raccomando, metti via quegli attrezzi da giardino prima che gli altri bambini si possano far male!!!>>.
In frigo bibite fresche e tante cose da mangiare: <<…che se non mi sono venute bene, sai che bella figura!!>>.
L’educatrice è arrivata per tempo per aiutarmi con mio figlio: fintantoché ci fosse stata lei ad occuparsene, io e mio marito Luca avremmo potuto conoscere ed accogliere gli altri in tranquillità: <<Ely mi raccomando, basta che Giuliano sia tranquillo e che non vada in crisi, poi per il resto cerca di assecondarlo in ciò che si sente di fare; se lo vedi in sovraccarico per la presenza di troppe persone o per la confusione andatevene in una stanza tranquilla, senza forzature>>.
Io e mio marito avevamo invitato i compagni di scuola di nostro figlio e le loro famiglie ad una merenda a casa nostra: questo avrebbe permesso a Giuliano di partecipare finalmente ad una festa assieme ai suoi compagni, e a noi genitori di conoscerli più a fondo.
Fino a quel momento, infatti, avevamo dovuto rinunciare alla quasi totalità delle occasioni di incontro con gli amichetti di scuola, restando in una posizione di emarginazione. È ciò a cui la vita ci ha costretti, per via della sua malattia metabolica rara e del suo ritardo cognitivo rientrante nello spettro autistico: due condizioni che gli impongono tutta una serie di limiti da rispettare affinché stia bene.
Ma torniamo a noi… Hanno suonato alla porta: vado ad aprire!

Le mie aspettative
Tanti sono i pensieri che nel solo gesto di aprire la porta hanno attraversato la mia mente.
Mi immaginavo già una scena vista e rivista più volte in questi 8 anni di vita di mio figlio, di fronte alla quale ne saremmo potuti uscire “vivi” solo se ci saremmo trovati di fronte persone sensibili, intelligenti ed empatiche, quindi rare.
Anche se in uno spazio relativamente ampio come quello di casa nostra, a piano terra che dà sul giardino, di fronte all’arrivo di più persone Giuliano solitamente rimane dapprima pietrificato, per poi entrare in uno stato di agitazione che lo porta a muoversi freneticamente e a saltellare sul posto, sul tappeto elastico o sul divano usato a mo’ di trampolino: in questo modo tenta di scaricare la sua ansia per il sovraccarico sensoriale dato dalla presenza della gente che si muove continuamente e contemporaneamente, che parla e che sposta gli oggetti, fosse anche una sedia che dalla cucina viene portata in giardino.
Dopo di ché, se la sofferenza per lo stato d’ansia che sta vivendo aumenta a dismisura, si può avere un aumento esponenziale dei cosiddetti comportamenti problema, fino ad arrivare ad una vera e propria crisi (meltdown), dalla quale se la nostra famiglia ne esce emotivamente sfinita, chi vi assiste ne rimane quantomeno scosso.
Ed il disagio degli altri diventa di colpo il nostro: noi che a quel punto siamo mortificati per quella vista, per le grida di Giuliano e per l’incapacità nostra di cambiare lo scenario che ogni volta ci si presenta di fronte. Noi che ci ritroviamo a subire il dolore della malattia e della sua condizione disabilitante… e a chiedere addirittura scusa se con la nostra vita siamo motivo di turbamento per gli altri.
Anche per questa occasione, quindi, immaginavo tutto questo… sperando fortemente che, per una volta, le cose andassero diversamente.

I regali che la vita sa farti
Apro la porta e mi ritrovo davanti i suoi compagni di scuola ed i loro genitori, e sui loro volti una inattesa quanto contagiosa aria di festa!
Giunti tutti insieme, ci fanno subito dono di un bouquet di palloncini di ogni tonalità di blu!
<<Che fortuna!>> mi sono detta <<Palloncini e per giunta del suo colore preferito! Magari stavolta non piange alla vista di un regalo!>>.
Guardo Giuliano immobile ed attento a tutte queste persone: uno sguardo tra me e l’educatrice basta per intenderci sul momento di criticità per lui e sulle possibili strategie per evitare una crisi… mentre a me stessa dico <<Ok Romina, lasciamo che sia!>>.
In pochi minuti, quel pomeriggio che prefiguravo di tensione ed imbarazzo, di timore che la nostra vita, piena di infiniti “non si può”, di porte, rubinetti e finestre chiuse a chiave, potesse mettere altra distanza tra noi e gli altri, si trasformava invece in una bellissima festa, fatta di risate, di ironia, di spontaneità, di semplice voglia di stare insieme, conoscersi e divertirsi.
E quando Giuliano non ha voluto scartare i regali mandando via le mamme che glieli porgeva, nessuna di loro ha mostrato fastidio, dispiacere o imbarazzo.
Al contrario, si sono fatte bastare l’entusiasmo mio e di mio marito, stupiti ed ancor più felici di scoprire che tutti quei doni non arrivavano per caso, ma solo dopo aver chiesto alla sua insegnante di sostegno ciò che a Giuliano potesse piacere.
Un gesto semplice ma profondo a dirci “Giuli, vogliamo vederti felice”.
Tutti loro ci hanno fatto moltissime domande, su di noi, sulla malattia, sulla nostra vita: interessati alle risposte e mossi dalla sincera volontà di conoscere e capire, non hanno perso occasione per farci sentire parte fondamentale della classe e del gruppo di genitori.
Io non credo di essermi mai sentita così a mio agio con persone praticamente sconosciute… e così contenta.

E Giuliano?
Non so dirlo a parole, perché non esistono vocaboli capaci di spiegare la sua felicità.
Le pochissime foto fatte lo ritraggono felicissimo in mezzo agli altri bambini, felice come noi genitori non lo avevamo mai visto né ritenuto possibile che fosse.
Era del tutto a suo agio tra i suoi compagni di scuola. Un clima di gioco, di festa, nel pieno rispetto delle loro reciproche diversità.
I suoi compagni lo conoscono bene: gli si avvicinano spontaneamente e con una naturalezza inimmaginabile nell’accogliere ogni sua reazione.
Se per qualche motivo lui li allontana, loro non danno a questo gesto nessun significato diverso da quello che è, ovverosia un semplice “non voglio, non ora, non riesco”.
Se lui li accoglie, di contro, loro sono pronti a giocare con lui, adattandosi alle sue modalità, ai suoi gesti improvvisi, al suo modo di stare in mezzo a loro.
E se Giuliano urla di gioia o di rabbia? I suoi compagni non si voltano nemmeno! Per loro sono urla naturali, che esprimono le parole che non sa dire ma che comunica a gran voce così.
In queste poche ore ho compreso quanto fossimo stati fortunati ad incontrare compagni di scuola, genitori e maestre capaci di creare tutto questo, insieme.

Riflessioni
Da madre di un bambino disabile mi chiedo spesso: nella realtà dei fatti, al di là delle belle parole che vuote passano, chi è che vive ai margini della società? Chi è che deve lottare ogni giorno per essere parte reale di una comunità? Chi è che mette gli altri di fronte alla propria ignoranza e diffidenza nei confronti della diversità?
Siamo noi, portatori sani di timore verso una condizione che ci vede vittime due volte: della disabilità e delle persone che non ci accolgono.
Mio figlio, con la sua malattia rara, il suo autismo, il suo ritardo cognitivo, il suo non dire nemmeno una parola, non sarà mai spontaneamente accettato né cercato dagli altri, in una società in cui sei ciò che appari e vali ciò che hai.
Sono convinta, quindi, che l’unico modo per mio figlio di non essere invisibile sia quello di fare noi il primo passo per farci avvicinare e conoscere, nel tentativo di superare il muro dell’indifferenza, diffidenza e solitudine che accerchia una persona disabile.
E quale modo migliore di far conoscere Giuliano e di aprirci al mondo che fare una festa?

L’occasione che devi cercare
Era tanto che ci pensavo, ma di possibili occasioni per passare del tempo con i suoi compagni di scuola non ne avevamo avute fino a quel momento.
Giuliano compie gli anni a dicembre, infatti, periodo in cui è impossibile festeggiarlo dato che, se per la sua malattia non deve esporsi a nessun tipo di virus, per la sua condizione autistica non riesce a tollerare la confusione, i luoghi affollati o nuovi.
Per lo stesso motivo, quindi, anche partecipare ai compleanni dei suoi compagni o a qualsiasi altra occasione di incontro scolastico è sempre stato proibitivo, ed ogni volta che ci abbiamo provato la nostra partecipazione non è durata più di 30 minuti prima di vederlo mettersi le mani alle orecchie, rannicchiarsi ed urlare la sua sofferenza.
Ma giunti alla fine di quest’anno scolastico, leggendo nella chat dei genitori che si stava cercando una location per una cena informale, mi sono detta: <<Questa è la nostra occasione!>>.
Mi sono proposta ma, sarò sincera: con tutte le storie di feste di bambini disabili andate deserte, ho trattenuto il respiro fintantoché la prima mamma non ha accettato il mio invito… e poi un’altra e un’altra ancora!
L’entusiasmo che ho ricevevo da parte di tutti nel voler partecipare mi ha dato più di una conferma a gratificarmi: che la disabilità non mi aveva imbruttita e chiusa in me stessa tanto da allontanare gli altri, che ci sono ancora persone capaci di guardare oltre ciò che nell’immediato spaventa, che l’unica via possibile per non rimanere nell’emarginazione è fare noi il primo passo… e che era ora che mi mettessi a sistemare casa ed ai fornelli per la festa!

Com’è finita?
Tra una birra, una torta salata, un dolcetto, una risata e la decisione di rivedersi presto per un’altra cena tutti insieme… abbiamo fatto le 1.00 di notte! Per una merenda riguardo la quale avevo mille timori, non male direi!
E dopo questo primo passo verso gli altri, col quale abbiamo fatto il pieno di energia, ottimismo, positività e fiducia, ne faremo sempre di più, determinati a trovare in questo mondo un posto pieno di amore, accoglienza e calore, anche per nostro figlio.
Grazie Romina per questo articolo. Mi sono commossa immedesimandomi in te, e in quale gioia avrai provato in quella magnifica serata.
Spero riuscirai ad organizzare altre situazioni così piacevoli per voi, e per il tuo BELLISSIMO figlio.
Un abbraccio grande.
Ciao Sara 🥰
Grazie Sara, di cuore <3
❤️❤️❤️