Di fronte alla diagnosi di autismo, magari accompagnata da disabilità derivante da ritardo cognitivo o comorbilità, ogni genitore si trova letteralmente spiazzato, impreparato e confuso, sin da subito chiamato a gestire una situazione del tutto sconosciuta a sé stesso e alle persone che ha intorno, che in nessun modo possono essere di aiuto.
Come fare?
Inizialmente ci si affida all’istinto, al cuore. Si sceglie un approccio fatto di amore, pazienza, comprensione: tentativi goffi di una relazione che stenta a decollare e che forse, in realtà, non vedrà mai la luce.
Ben presto, però, si dovrà farei i conti con la frustrazione di chi, nonostante l’impegno affettuoso e paziente, si troverà davanti una situazione ingestibile: che alla lunga sarà deleteria nel rapporto col proprio figlio e con l’intera famiglia e, quindi, dannosa, soprattutto per quel bambino che amiamo tanto ma che è sempre più lontano da noi.
Questo è quello che accade, purtroppo, quasi sempre.
La scelta…
Di fronte a ciò che non conosci non puoi improvvisare: devi prepararti, allentarti, addestrarti e capire, conoscere, agire. E cosa c’è di più alieno per ognuno di noi che trovarsi davanti alla disabilità e alla neurodiversità con le sue regole e leggi del tutto diverse dal nostro modo di essere?
Chi si arrende a questo, per cultura, per stanchezza o per carattere che sia, è destinato ad essere genitore di un bambino che gli sfuggirà continuamente di mano, che sarà sempre più fuori controllo fino ad essere percepito come un vero e proprio “problema” man mano che crescerà.

Chi non si arrende, invece, sceglie una diversa via: alla ricerca della scienza e delle metodologie più adatte alle problematiche del figlio, deciderà di impiegare ogni risorsa, economica ma soprattutto personale, per trovare la chiave che conduca alla relazione, alla crescita e all’equilibrio che porterà i migliori frutti per tutti, in primis per il proprio figlio.
Per fare questo, ovviamente, serve un impegno serio, fatto di scelte forti e coraggiose, che ponga al centro dell’esistenza il proprio figlio… quel figlio che non ha scelto di venire al mondo e al quale, proprio per questo, è doveroso dare ogni opportunità di crescita, miglioramento ed autonomia che siano possibili.
L’impegno va ovviamente commisurato alle possibilità economiche della famiglia, ma no… il tutto non dipende solo da questo. L’impegno economico è tanto più gravoso quanto più si sceglie di delegare ai professionisti.
Ma dove ciò non è possibile, resta sempre ai genitori la decisione di imparare in prima persona le tecniche ed i metodi necessari per apportare il cambiamento necessario sul proprio figlio.
Quanti genitori cominciano a studiare? Quanti genitori cercano di imparare il più possibile dalle poche ore di terapia che possono permettersi per moltiplicare gli interventi riabilitativi ed educativi una volta a casa coi propri figli? Quanti diventano, col tempo, educatori quasi professionisti del proprio figlio, senza rinunciare o pregiudicare il proprio ruolo genitoriale?
Sono scelte personali e non giudicabili ovviamente.
Nel fare la mia, invero, non ho potuto fare a meno di chiedermi: quale scelta riesce davvero ad esprimere l’amore che ho per mio figlio?

La mia esperienza
Mio figlio Giuliano ha una malattia rara, invalidante, con grave ritardo cognitivo ed autismo secondario.
Prima di conoscere l’Aba i miei approcci con lui erano solo “di cuore”: fatti di gesti istintivi, baci, abbracci affettuosi o di contenimento, di tentativi impacciati di fargli arrivare un sentimento che accendesse in qualche modo una relazione tra di noi, per poi stimolare nuovi apprendimenti, la comprensione, la comunicazione, la crescita…. Un fallimento completo!!
Mio figlio, in questo mio “rincorrerlo”, non mi sopportava: piuttosto mi allontanava da sé, rifuggiva da ogni mia proposta e le sue giornate erano un passaggio continuo da un comportamento problema all’altro.
Ed io? Non ci capivo niente!
Non capivo in cosa sbagliavo, perché mi respingesse, perché persino una carezza gli fosse ostile o perché rispondesse con un morso ad un abbraccio… eppure mettevo tanta pazienza ed amore nel farlo.
La verità è che mio figlio era un enigma per me. E finivo per farmi sopraffare dalla frustrazione: quindi mi arrabbiavo, magari gli urlavo, per poi sentirmi in colpa ed abbracciarlo… e ricominciare da capo. Un vero e proprio caos emotivo che non ci portava da nessuna parte, che non ci regalava nessun rapporto e nessuna crescita che non fosse la mera illusione di un istante.
Poi, parlando con un’educatrice, ho conosciuto l’Aba: regole ferree ma continuamente adattate alla risposta comportamentale del singolo bambino. Un’analisi comportamentale h24 che definirei reciproca, dal momento che vanno compresi ed esaminati non solo i comportamenti del bambino ma anche quelli delle sue figure di riferimento: in continua evoluzione, alla ricerca della soluzione ad ogni problema, della comprensione reciproca, della comunicazione funzionale e dell’estinzione dei comportamenti problema.
Inizialmente ho intrapreso questa strada avvalendomi dei servizi privati, ma sin da subito mi sono messa a studiare i libri sui quali si formano gli educatori specializzati: ho affiancato le educatrici nel loro lavoro per imparare; ho lavorato personalmente con mio figlio ed ho applicato quei principi in ogni momento della giornata, diventando la coprotagonista dei suoi progressi, che sono arrivati ed arrivano ogni giorno.
Mi sono detta, “non è con me che mio figlio deve imparare a vivere e relazionarsi? Se delegassi tutto ai terapisti, cosa succederebbe quando loro non ci sono e cioè durante la maggior parte della giornata? O dovrei dipendere sempre da qualcun altro per gestire le difficoltà ed il progredire di mio figlio?”

E il cuore?
In apparenza c’è meno cuore… ma solo in apparenza, mentre in realtà c’è molto più affetto ed amore di prima tra me e mio figlio.
Ora gli abbracci ed i baci sono reciproci e sono veri e propri slanci d’affetto.
Non c’è più contenimento ma controllo istruzionale continuo. Questo mi permette di sentirmi più serena con lui in ogni situazione: persino i comportamenti problema non mi disorientano né spaventano più.
Ho ancora tanto da imparare e moltissimo da studiare ma… la vita non è per tutti un apprendimento continuo?
Con mio figlio, non vocale, ci capiamo e ci parliamo tutto il giorno e per molte cose mio figlio è un libro aperto ormai.
Una cosa ormai mi è chiara: non c’è cuore ed amore se non c’è metodo. Con l’istinto non si costruisce nessun rapporto ma, al contrario, ci si può far male reciprocamente senza mai riuscire a trovarsi.
Quindi, il mio invito e la mia speranza per i nostri ragazzi è che ogni genitore decida di cercare la propria strada, la propria scienza da seguire, formarsi attraverso i professionisti e quindi studiare, e ancora studiare e ancora studiare… per dare un valore a quell’amore che merita gesti concreti e non solo parole.