Se è vero che essere genitori significa impegno, sacrificio, dedizione, amore, educazione, pazienza, tutto questo ha un peso, un significato ed uno scopo ultimo molto diversi quando si tratta di un figlio disabile.
Nelle occasioni di confronto con le altre mamme, ci si lamenta perché il proprio figlio non le fa dormire di notte, non ha voglia di fare i compiti, richiede estenuanti attenzioni, parla e chiede continuamente questo o quello, a quattro anni fa ancora la pipì a letto, fa i capricci e si butta a terra al supermercato se non può avere quel gioco… aneddoti più o meno reali o problematici, quando non ironici, che accomunano un po’ tutti i genitori.
<<Che ti pare, anche mio figlio fa come Giuliano, tutti i bambini fanno così!>>.
Queste sono le parole che mi sento spesso dire: una frase odiosa ed infelice, sia che venga pronunciata nel vano tentativo di farti sentire meno diverso, sia per reale incapacità di comprendere l’altro da sé.
<<Dove non c’è, non ci si mette>> avrebbe detto la mia cara nonna, riferendosi al buonsenso delle persone. E nel silenzio di chi non ha voglia di spiegare nulla a chi non ha mente per capire, un pensiero irrompe prepotente ogni volta a darmi il tormento: che per molti aspetti mio figlio resterà per sempre un bambino piccolo da accudire, anche quando crescerà e sarà adulto.

Per sempre così…
Se tuo figlio è disabile, che sia per una malattia invalidante, come pure per una condizione che gli impedisce di diventare autonomo, nella maggior parte dei casi, le prime fasi della genitorialità diventano “per sempre”.
E quelle notti insonni, quel non potersi mai allontanare da tuo figlio, quel doverlo guardare a vista, doverlo ogni santo giorno imboccare, pettinare, lavare, vestire, fare il bidet, tenere stretto per mano nell’attraversare la strada, contenere nei capricci e nel suo essere irruento… quel dovergli accendere e spegnere la tv, preparargli i pasti, tagliargli le unghie, cambiarlo dopo una pipì addosso, portarlo ovunque sia necessario senza mai lasciarlo solo, sentirsi chiamare continuamente e per qualsiasi cosa… quel non potersi permettere il lusso di una doccia da soli, di sdraiarsi sul divano per riposare un po’, di guardare un film, di consumare un pasto seduti, di prendersi una medicina ed andarsene a letto quando stai male e non riesci a stare in piedi, di avere una vita sociale e lavorativa decenti… quel vivere in totale funzione di tuo figlio, che necessita di un accudimento continuo e totalizzante, tanto da farti sentire soffocare, da farti desiderare di fuggire in qualche modo, da farti cadere in depressione post partum per mesi dato che ti devi annullare per quella creaturina indifesa che ha bisogno di te per sopravvivere, crescere e diventare autonomo… Per te che hai messo al mondo un bambino, ragazzo e poi adulto disabile, tutto questo facilmente non finirà mai.
Sì, perché tuo figlio dipenderà sempre da te, anche quando sarai vecchio e stanco, mentre lui sarà un bellissimo, altissimo e forzuto ragazzo, difficile da contenere.

I pensieri a tormentarmi
Non c’è soluzione a questo… ed ogni volta che ci penso mi assale la rabbia, che trova sfogo solo con sproloqui solitari ad alta voce fino a trovare il suo epilogo nelle lacrime della rassegnazione.
Perché mio figlio non potrà mai uscire da solo? Perché non potrà mai mantenersi lavorando? O avere una sua famiglia? O comprarsi una casa? Perché da madre devo temere la vecchiaia ed il naturale calare delle forze per accudirlo? O desiderare e pregare affinché lui muoia insieme a noi genitori? O che non ci sopravviva, così da non finire sedato in un istituto… solo… indifeso… impaurito… smarrito come un bambino?
Essere costretti a desiderare che tuo figlio muoia prima di te o che la morte vi arrivi insieme, anche se il più tardi possibile… è disumano credimi.

Il tuo compito di genitore
Sono pensieri dolorosi… che continuamente fanno capolino, anche quando sei al bar con le amiche e ci si ritrova a parlare dei figli con leggerezza, anche quando vorresti vivere la giornata o semplicemente non pensarci.
Non c’è leggerezza invece nell’essere genitore di un bimbo disabile, spesso non c’è nemmeno speranza quando una cura alla sua malattia non esiste… e non c’è risata che non nasconda l’amarezza di pensieri cupi su un futuro che temi.
Ma quando la paura ha forgiato ogni singolo minuto della tua genitorialità, quando devi ogni giorno tirare pugni per difendere tuo figlio dalla burocrazia o da chi semplicemente lo ignora, quando sai che dovrai presto metter mano al tuo testamento tentando di tenerlo al sicuro dopo la tua morte, quando sai che sei solo tu la sua ultima speranza per sopravvivere ad un quotidiano che non saprà mai gestire, allora sai già qual è il tuo compito in questa vita.
Non chiuderti in te stesso, non piangere più del necessario, non imbruttirti, non abbassare mai la guardia né permettere mai agli altri di fermarti dal difendere tuo figlio: lui, creatura fragile ed indifesa, facile preda degli orrori di questa società, come la ghettizzazione o la violenza.
Diventa piuttosto uno strumento al suo sostegno.
Impegnati con lui nelle piccole autonomie, fagli fare più terapie ed esperienze possibili, cerca di adattarlo agli ambienti, alle persone, alle situazioni ostili. Studia metodi e tecniche per aiutarlo. Non lo proteggere da ciò che non è capace di fare ma spingilo a superarsi, non lo aiutare se non strettamente necessario, non rendergli la vita semplice se questo comporta rinunciare ad imparare una minuscola cosa in più… fai in modo di tirar fuori tutto ciò che può, fosse anche una cosa sola.
Magari tuo figlio non diventerà mai autonomo, ed i fantasmi del futuro non se ne andranno mai, ma anche quando sarai stanco e vecchio, lo guarderai sereno e sicuro di aver fatto per lui tutto ciò che potevi e anzitutto di averlo amato follemente.