Si dice che la paura nasca dall’ignoto, da ciò che per definizione non si può prevedere né controllare nel suo evolversi o nell’epilogo.
L’incertezza che ne deriva, se da un lato può costituire una spinta per cercare di superare l’imprevisto, dall’altro può arrivare persino ad immobilizzarti nelle azioni e nei pensieri.
Io ho un pessimo rapporto con i cambiamenti e con tutto ciò che non conosco: non amo le sorprese ed in generale tutto ciò che non posso in qualche modo controllare o aspettarmi.
Questo mio limite ha origini lontane: sin da bambina, infatti, molte delle cose che mi venivano presentate come “sorprese” erano, invece, motivo di profonda sofferenza per me.
Ad ogni buon conto, indipendentemente dal vissuto personale, la maggior parte delle persone si spaventa di fronte alle nuove prove della vita. In questi casi, spessissimo, l’unica cosa che puoi fare è sottometterti agli eventi ed alle situazioni così come si presentano, null’altro.
Sono tante le circostanze di fronte alle quali non ho potuto far altro che farmi schiava degli eventi, alcune scolpite a sangue dentro di me, nate da queste indelebili parole: <<Tua madre è morta>>… <<Suo figlio ha una malattia rara>>.
Se inizialmente puoi solo subirli, col tempo anche i momenti più difficili e sconosciuti possono diventare in qualche modo familiari e – passami il termine – rassicuranti: non perdono la capacità di spaventarti o di toglierti il sonno, ma è come se, forse per spirito di sopravvivenza, ti adeguassi ad essi.
Ricordo ancora quando, dopo i primi due mesi di vita di mio figlio trascorsi in ospedale, i medici ci annunciarono le dimissioni: odiavo quella reclusione, quella vita senza solitudine né privacy, fatta di visite mediche e medicinali e fili e tubi e prelievi e sangue… eppure di fronte a quella notizia non ero felice, bensì combattuta tra il desiderio di andarmene ed il voler comunque restare lì.

Forse, due facce della stessa medaglia
Se è vero che ciò che non si conosce spaventa a morte, anche pensare di rivivere ciò che si è già vissuto può portarti a morire di paura.
Non basta, infatti, essersi trovati di fronte a situazioni difficili, averle affrontate e superate per averne meno timore, tutt’altro. A volte è proprio la consapevolezza e l’esperienza di ciò che ti aspetta a farti paura ancora di più dell’ignoto della prima volta.
È esattamente questo ciò che provo ad ogni ricovero, ad ogni esame più o meno invasivo di mio figlio, ad ogni crisi comportamentale, ad ogni decisione che limita la mia vita già stretta. E questo timore lo vivo anche in questi giorni, in cui la pandemia che ci troviamo a vivere impone il rispetto di nuove restrizioni, divieti e limitazioni.
Disposto il lockdown dei mesi scorsi, nel giro di qualche giorno mi sono ritrovata rinchiusa in casa con mio figlio, senza alcun sopporto ed aiuto educativo-assistenziale: noi, la sua patologia rara, il suo essere autistico e tutta una serie di bisogni che non possono essere elusi senza scatenare crisi e reazioni devastanti, sia sul piano fisico che psichico.
Con il passare delle settimane, il terrore e l’incertezza col quale ho inizialmente vissuto ogni passo hanno lasciato il posto ad un nuovo equilibrio che, pur nella sua fragilità, ha resistito per il tempo necessario.
Nel periodo di minor allerta, quindi, quella precarietà si è rarefatta man mano che ci era permesso riprendere alcune delle nostre preziose routine settimanali… ed ho ricominciato, io, a respirare di giorno e, mio figlio, a dormire di notte.
Ce la siamo cavata egregiamente, direi… Perché dovrei, quindi, aver paura di ritrovarmi in un nuovo lockdown?

Chi avrà la meglio?
Quando la ragione ti porta a dire che ciò che hai superato una volta puoi superarlo per sempre, lo scontro con le emozioni che ti hanno profondamente segnato si fa inevitabile.
Sai chi vince? Il segno che ti ha lasciato il dolore, la sofferenza, il fiato corto ed il cuore in gola, le notti passate a pregare ed i giorni trascorsi a controllare azioni e reazioni.
Ed è in questi momenti che capisco che nonostante tutto ciò che ho passato, che ho superato, che ho scongiurato, affrontato e vinto, questa mia corazza da guerriera sarà sempre destinata a cadere, schiava di fronte alle grandi difficoltà della vita, che siano circostanze nuove o note.
So anche, però, che ciò che conta è non mollare mai lo scudo che ognuno di noi ha dentro di sé, fatto di perseveranza, resistenza, speranza, istinto di sopravvivenza… e soprattutto, di paziente attesa che tornino presto i momenti sereni.