Nell’illusione di costruire artificiosamente l’autostima dei propri figli, alcuni genitori preparano loro il terreno per facili vittorie.

In questo modo sono proprio gli adulti a dimostrare di non capire che ciò che serve davvero è insegnare ai ragazzi la verità: che nella vita si può vincere o perdere, che perdere è un’opzione spesso molto probabile e che vincere dipende dall’impegno, dalla fatica, dalla pazienza e anche da un po’ di fortuna.

Ecco che, di conseguenza, questi bambini e ragazzi abituati a vincere sempre, di fronte alle sconfitte si perdono, non le accettano e spesso persino un gioco diventa terreno di scontro e motivo di rabbia incontrollata.

Ricordo ancora da bambina quando giocavo coi miei amichetti.
Io, fin troppo abituata alle sconfitte nella vita: senza una madre e con delle giornate del tutto incerte; loro, i più, con un bagaglio di sicurezza ed affetto che, invero, ogni bambino merita di avere.
Per me era assolutamente chiaro che vincere era solo una possibilità, mentre per loro che era l’unica opzione accettabile.
Quante partite a monopoli sono finite con il tabellone e le pedine rovesciate rabbiosamente a terra dal “probabile perdente di turno”!
Ed era così, quindi, che spesso pur di giocare più a lungo coi miei compagni, in odore di vittoria decidevo di lasciarli vincere.

Com’è nata la mia autostima? Da quelle volte in cui sapevo di avere la vittoria in pugno e, ciononostante, decidevo di perdere.
Sin da allora, infatti, avevo capito una cosa: per me non era così importante lo stendardo della vittoria, mentre lo era di più sapere di essere capace di stringerlo in mano se e quando avessi voluto.

muro in blocchi di cemento sul quale si riflettono ombre di quattro persone

Adulti come bambini viziati

Una volta diventati grandi, le cose non sono poi diverse.
Mi guardo intorno e ciò che vedo sono adulti rimasti ancora bambini che, se non ottengono ciò che vogliono, se si ritrovano con aspettative disattese, “non giocano più e buttano la partita all’aria”, inscenando il peggior capriccio al quale si possa mai assistere.

La vita non ha insegnato loro nulla, se non a raccogliere i frutti di ciò che va come deve andare nella loro mente. Ma la vita non va quasi mai come deve andare, e quando i problemi si sommano e gli scogli si fanno alti ed irti, in loro non vi è calma, non vi è pazienza, non vi è voglia di impegnarsi per superarli e di superarsi… vi è solo rabbia, disfattismo e irrispettoso disinteresse per chi, nonostante i loro capricci, tenta di tendergli una mano.

Spesso sono persone stimate, ammirate, che magari ricoprono posizioni importanti alle quali sono arrivate pompati da quell’autostima fasulla donatagli nella loro infanzia.
O sono persone semplici, modeste, ma che hanno un pensiero borghese ben costruito ed intoccabile per cui tutto deve andare secondo i loro cliché.

Sono le stesse persone che di fronte ai tuoi problemi sanno regalarti preghiere e commiserazione, senza mai sporcarsi le mani davvero, perché per loro la partita a monopoli, come la vita, o è perfetta o non ha valore se non nel pietismo.

E quando si imbattono in un problema che li riguarda?
Si fanno insopportabili e grotteschi: abituati a “vincere”, non sanno né vogliono reagire; diventano rinunciatari, piagnucolosi e senza alcuna concreta reattività.

torre di sassi che sta cadendo per la forza dell'acqua di un fiume

Insopportabili e grotteschi agli occhi di chi?

Così appaiono certe persone ai miei occhi.
La mia autostima l’ho costruita a suon di cadute, scivolate e piccoli traguardi ai quali mi sono aggrappata con tutte le mie forze per potermi rialzare e prendermi ciò che volevo.

Non dico che sia giusto costruirla così: so bene quanto siano duri da allontanare quelle voci in testa che, mentre lotti per credere in te stesso e nelle tue capacità, ti ripetono “ma cosa credi di fare, chi pensi di essere, cosa credi di cambiare”.
Dico solo che, a volte, è proprio l’autostima che nasce dalla fatica e dal dolore a renderti un adulto forte, solido, fiero.

Tra gli infiniti difetti che ho, i miei pregi raccontano di una persona non abituata a “vincere facile”, che non molla, che di fronte alle difficoltà si mette in moto immediatamente verso la soluzione e per cui l’opzione “mi arrendo” non esiste… perché per me nulla va lasciato intentato, persino la più piccola possibilità di farcela.
Ed ecco che, anche di fronte a muraglie insormontabili come la malattia rara di mio figlio, non so arrendermi, ma mi faccio acqua cheta in attesa di capire, agire e reagire, senza sosta, senza autocommiserazione e senza accettare nulla di meno.

cerchi concentrici in uno specchio d'acqua che riflette foglie autunnali

E tu, chi scegli di essere?

Ognuno di noi si sente segnato da un destino ed una personalità immutabili, ed è questa convinzione a segnare l’inizio delle proprie personali sconfitte.
La vita e l’infanzia ti modellano, è vero, ma puoi decidere tu in ogni momento di iniziare il cambiamento verso la persona che vorrai essere.

E allora ti chiedo: chi vuoi essere?

Uno tsunami? Queste enormi ondate dalla forza e potenza assolute, senz’altro scenografiche ed affascinanti nella loro foga, capaci di travolgere ogni cosa che incontrano, di sottomettere tutto e tutti, di piegare ogni cosa al proprio volere se si è nella posizione di cavalcarle… fino a che la forza cinetica perderà naturalmente la sua intensità e calerà il sipario, lasciando il ricordo indelebile del suo passaggio ma altrettante macerie dietro di sé.

Oppure le acque chete di uno specchio d’acqua? Magari di un piccolo fiume, che con pazienza e costanza è sempre alla ricerca di un pertugio in cui convogliare, che accetta gli ostacoli rocciosi senza rinunciare ad erodere, grattare e consumare la parti più ostili, modellandole o adattandosi, ma con un unico obiettivo: trovare la foce, ed essere finalmente fiero e libero.

Pensaci. E fai la tua scelta.

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